Alla scoperta di Copàn tra
mito e realtà … una città protetta dalla giungla
di Marcello Caccialanza
Viaggiare non significa solamente agire
fisicamente , anche se è inutile negare che la presenza in loco regala sempre
forti emozioni e ricordi indelebili.
Si può dunque compiere un itinerario
vacanziero stando tranquillamente seduti in salotto, magari chiudendo gli occhi
e facendo girare un virtuale mappamondo. E forse questo mio articolo non è che
la risposta tangibile a questa visione quasi platonica del viaggio.
Il viaggio che si intende intraprendere
è particolare, a dir poco unico nel suo genere, perché ci si appresta a
compiere un’avventura che spazia tra mito e realtà; un’avventura a cui sarà
difficile dire di no! In quanto ci trasporta a Copàn , una città reale nella
giungla, dove tra esploratori e resti architettonici, va in scena vita
quotidiana e curiosità a vario titolo intorno al mito dei Maya.
Qui non solo si avrà l’opportunità di
trovarsi immersi in una realtà-fantasma, che , nonostante sia palesemente
passata in prescrizione, possiede ancora quel non so che di magico e di
carismatico, capace, a mio avviso, di catturare l’interesse di quanti vedono
ancora nel viaggio una concreta e prepotente voglia di apprendimento.
Copàn , dopo essere stata abbandonata
nel X secolo, è stata purtroppo dimenticata addirittura per ben cinquecento
anni e lasciata, senza alcuna remora, completamente in balia della giungla.
Anche se in rovina, questo centro urbano, un tempo davvero assai sontuoso,
viene considerato dagli stessi addetti ai lavori la massima espressione della
civiltà Maya, di cui conserva alcuni tra i principali esempi di architettura e
di scultura.
La rinascita della città di Copàn la si
deve all’esploratore statunitense John Lloyd Stephens e all’artista inglese
Frederick Catherwood; i quali giungendo in una radura della folta foresta
tropicale, trovarono l’antico centro urbano di Copàn.
La vegetazione, traditrice e matrigna,
celava gran parte degli edifici e rendeva indistinti quelli che non erano stati
ancora compromessi dalla giungla medesima.
La zona in questione era stata dunque
devastata dagli agenti atmosferici, dalle scosse telluriche e soprattutto dalla
soffocante avanzata dei rampicanti e delle radici degli alberi.
La città, inoltre, aveva pure risentito
dei mille anni di erosione da parte del fiume Copàn.
Le principali rovine di questa città reale
si trovano quindi nel cuore della valle del fiume Copàn, in Honduras, a poche
miglia dal confine col Guatemala.
Durante il periodo classico – dal 250
al 900 d.c.- dell’epoca maya; una
nutrita schiera di sovrani, se ne contano almeno sedici, con il loro seguito,
costituito da sacerdoti e nobili, regnò su una vasta popolazione, composta da:
artisti; mercanti; artigiani e contadini.
Stephens e Catherwood , come ci insegna
la stessa storia, non furono di certo i primi visitatori a restare affascinati
e turbati allo stesso tempo da Copàn!
Infatti già nel XVI° secolo, più di
cinque secoli dopo che la città era stata abbandonata precipitosamente, i
coloni spagnoli l’avevano menzionata nei loro scritti e nel 1834 il governo
guatemalteco aveva finanziato uno studio delle sue rovine.
Tuttavia fu il duro lavoro di questi
due uomini a far conoscere Copàn al mondo occidentale.
Così, dopo aver acquistato il terreno
per la somma di cinquanta dollari da un contadino, i due avventurieri
cominciarono l’esplorazione, tenendo perfino un preciso e sempre aggiornato
resoconto dei medesimi ritrovamenti avvenuti.
Catherwood, per lo più con il fango
fino alle caviglie e le mani protette da guanti contro le punture delle
zanzare, trascorreva le sue giornate a disegnare bozzetti delle rovine.
Tanto è vero che i suoi numerosi
disegni, dettagliati e di rara bellezza, stimolarono le volubili fantasie degli
studiosi occidentali.
E da quello stesso momento gli
archeologi di mezzo mondo iniziarono a riportare alla luce e a restaurare parte
delle plazas, degli edifici e dei monumenti di Copàn.
Nel periodo di massimo splendore,
questo era senz’altro un centro molto ricco, quanto detto era dimostrabile da
fitti rapporti economici estesi su tutto il territorio maya.
Le splendide piramidi, i magnifici
templi, le corti amene e le altre strutture del complesso principale erano così
raggruppate in quattro ampie palazas, in origine pavimentate con un intonaco
bianco. Gli sfarzosi edifici, costruiti in andesite ( una roccia eruttiva di
colore verdastro), erano per lo più decorati con rilievi in stucco dipinto.
Tracce di pittura sui muri e sulle
stesse incisioni sono perciò indicatori concreti che tutti i principali
edifici, le palazas e le sculture di Copàn dovevano essere a vivaci colori.
Nelle quattro palazas maggiori e più
importanti si elevavano palazzi e templi a gradini simili a delle piramidi.
Lunghe e ripide scalinate conducevano ai templi situati strategicamente in cima
alle piramidi.
La più imponente tra le scalinate
conosciute grazie agli scavi archeologici era nota con l’appellativo di “
Scalinata dei Geroglifici”. In origine era composta da ben 72 gradini, ogni dei
quali largo 16 cm e alto 45 cm. Le dettagliate incisioni presenti sulle stesse
alzate di ogni gradino avevano il pregio di offrire le fantasmagoriche vicende
umane e di potere dei vari sovrani che si erano succeduti a Copàn: dai primi re
guerrieri a quello che aveva fatto edificare la scalinata in questione, salito
al trono nel 749.
Questa monumentale iscrizione di circa
1250 pittogrammi, scavati nella pietra, era certamente la più lunga di tutte
quelle che erano state rinvenute tra le rovine maya dell’America Centrale. Nel
XIX° secolo la stessa “ Scalinata dei Geroglifici” aveva subito un dannoso
crollo, in seguito al quale solo 30 gradini erano rimasti al loro posto
originario, anche se bisogna tener conto che ancor oggi studiosi ed addetti ai
lavori sono ancora impiegati nel loro accurato restauro.
Grazie al continuo e costante esame di
queste incisioni, presenti sulla scalinata principale, sui muri e sugli altari,
si è riusciti a decifrare i nomi dei sovrani di Copàn e il medesimo periodo in
cui hanno governato. Ulteriori notizie relative alla storia di questa mitica città
sono state invece ricavate dai pilastri di pietra scolpiti, o stele, che i
sovrani avevano eretto a proprio onore e celebrazione.
Su questi monumenti erano dunque
rappresentate, in grandezza maggiore rispetto al naturale, figure regali in
splendidi e lussuosi abiti da cerimonia e corredate dai vari simboli del potere
temporale e divino.
Nella Plazas centrale in origine
c’erano sette stele, ogni delle quali misurava circa 3.4 m di altezza.
All’interno e nei dintorni della città
si poteva rilevare la presenza di 38 stele, alcune delle quali disposte secondo
un allineamento astronomico di fondamentale importanza per gli stessi Maya, che
si basavano sulle posizioni delle stelle e dei pianeti come guida e cardine
nella loro esistenza.
Infatti il complesso e sofisticato loro
calendario, impostato sui cicli del pianeta Venere, permetteva di decifrare con
assoluta precisione l’anno, il mese e il giorno riportati sulle incisioni.
I numeri nel calendario erano
rappresentati da barre orizzontali, punti e simboli a forma di conchiglia.
Dopo il 900, Copàn veniva tristemente
abbandonata al suo destino; la scoperta di alcune incisioni incomplete facevano
supporre che gli stessi suoi abitanti l’avevano lasciata all’improvviso.
Nonostante il declino della città reale, la sua popolazione aveva continuato a
vivere nella vallata adiacente, in semplici insediamenti, coltivando: mais,
zucche e fagioli.
Gli storici ancor oggi sono alla
strenue ricerca dell’effettiva motivazione per cui questo popolo aveva deciso
di lasciarsi alle spalle un centro così ameno e sviluppato.
Forse il sistema agricolo di Copàn era troppo
fragile per sostenere la domanda effettiva di una vasta popolazione, suscitando
inevitabilmente la scontentezza tra i cittadini, i quali entrarono in evidente
conflitto con il re e i sacerdoti.
Con l’abbandono da parte degli abitanti
la città, un tempo sontuosa, era restata alla mercè della giungla, delle
intemperie e del fiume.
Gli attuali discendenti dei Maya vivono
nella vicina città di Copàn Ruinas, in questo modo vecchio e nuovo mondo
continuano ad esistere fianco a fianco.
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