"L’ultimo
cavaliere senza macchia" è un’opera molto particolare ma anche
estremamente affascinante, che andrebbe letta più volte per comprenderne
appieno i significati nascosti e le citazioni in essa contenute. Nel testo si
nota di primo impatto l’assenza di una struttura narrativa tradizionale, e si
ha la sensazione che ci si trovi davanti a un bizzarro esperimento letterario:
l’opera ha in certi passaggi i tratti di un romanzo mentre in altri ha la
parvenza di un poema epico in cui non si cantano le gesta e le afflizioni di un
eroe ma dell’umanità tutta, analizzata nella sua complessità, nei suoi dolori e
nella sua confusione. E in altri momenti ancora sembra di trovarsi in un
surreale testo di Samuel Beckett, e lo stesso personaggio di Godot è infatti menzionato
all’interno dell’opera. "L’ultimo cavaliere senza macchia" sembra
voler omaggiare l’essere umano nelle sue luci e ombre, mentre si muove nella
vita assistendo a eventi che spesso non hanno un nesso logico, come non ne ha
l’opera se osservata superficialmente. Andando in profondità e prestando
maggiore attenzione si nota invece un filo conduttore, che si declina in un
viaggio immaginario che prende consistenza man mano che ci si avventura; ed è
così che la favola si mescola alla crudezza della realtà, e a draghi zoppi e
Signore della Montagna si sostituiscono la ricerca terrena della verità e della
libertà. E poi c’è la sofferenza per un amore perduto o mai trovato, per una
solitudine che distrugge, per un mondo che si sta sgretolando e per un uomo che
cerca disperatamente la sua identità.”
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