Romanzo autobiografico a tratti incompiuto, scritto dall’autore in età avanzata tra le grigie pareti di un freddo ospedale. Nella sua struttura semplice e lineare non tradisce, però, la comprovata originalità di un linguaggio accattivante e ben ponderato, che gioca quasi sempre sulla velata incomunicabilità tra l’italiano borghese e il friulano popolare, creando,così, un connubio quasi perfetto tra momenti narrativi più ispirati e altri più genuini.
La trama, sebbene offra un argomento delicato e per molti, difficile da percepire a pieno, in quanto relegati in una dimensione cognitiva, imbrigliata nelle rigide leggi della tradizione; non è mai volgare o banale. Infatti il tema dell’omosessualità non viene trattato con manierismo o peggio ancora con tristi luoghi comuni che sanno di stantio.
Il protagonista, un giovane di circa sedici anni, alle prese con i primi pruriti di una pubertà che si fa sempre più prepotente, non è semplicemente una sorta di alter ego dell’autore, ma è l’essenza stessa di Saba che si materializza con veemenza nell’animo turbato del suo stesso personaggio.
L’atmosfera del racconto è tanto ovattata quanto la stessa fragilità del fanciullo. Anche se queste sensazioni non sono costanti nell’economia dello stesso romanzo. Infatti si passa, con non chalance, da momenti di liricità appassionata a momenti di spietata crudezza che si palesano nello scontro ideologico ed umano che coinvolge Ernesto e la sua famiglia di origine.
Il giovane protagonista è il non-io che vuole abbracciare l’io...il tutto, quel tutto che si concretizza con l’universalità dell’amore, un ventaglio di opportunità emozionali che vanno ben oltre allo stereotipato vademecum del prestabilito.
Ernesto racchiude in sé la gentilezza delle pulsioni più vere, la curiosità genuina di un animo che vuole esplorare con curiosità la sfera più nascosta del suo essere interiore.
La sua prima volta non brilla certamente per armoniosità, un incontro di sensi con un collega di bottega,di dodici anni più grande...in quella specie di sgabuzzino che gli toglie, con cinismo, la sua verginità.
In lui tutto si sgretola e le sue certezze, i suoi sogni si vestono all’improvviso, di dubbi che, senza pietà, lo lacerano dentro. Ernesto entra così nello spietato mondo degli adulti!
Tutto ormai acquista un altro sapore, l’amara consapevolezza che parte del meccanismo interiore si è rotto in modo irreparabile e che il mondo non avrà più colori vivi e brillanti, ma sfumate tinte pastello.
Il senso di colpa sarà dunque il compagno di viaggio del protagonista,che cercherà, nella sua disperata fragilità umana, di ribellarsi a quanto accaduto nel retro bottega .
Tenterà perciò a gran forza di rinnegare se stesso fino ad andare nel letto di una prostituta per rivendicare, a gran voce, la sua appartenenza all’ordine prestabilito delle cose.
Ma invano, perché nella meccanicità dell’atto amatorio non si sentirà mai libero,un peso lo soffocherà a tal punto da confonderlo maggiormente.
Sarà l’incontro con Ilio, giovane violinista, a proiettare Ernesto in quella dimensione amorosa che sembrava essergli sfuggita di mano in modo definitivo.
La figura di Ilio ha dunque un valore intrinseco, rappresenta quella luce insperata che domina e smorza quel buio esistenziale che aveva attanagliato il cuore e lo spirito di un ragazzo alla scoperta di sé.
Il giovane violinista è dunque l’emblema della poesia, intesa come forza suprema,capace di valorizzare anche la realtà più imbarazzante, trasformandola in una fucina di possibilità da cogliere al volo.
Una recensione di Marcello Caccialanza
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