Il cremasco (Cremàsch) è un dialetto di tipo gallo-italico della lingua lombarda appartenente al gruppo orientale. Viene parlato nel Territorio Cremasco. Per inflessioni, cadenze e modi di dire è simile al dialetto bresciano, al dialetto bergamasco.
Unica differenza del dialetto cremasco si trova in quello Rivoltano, parlato dagli abitanti di Rivolta d'Adda, dove abbiamo, per posizione molto ravvicinata alla città metropolitana di Milano, un estremismo di pronuncia verso il Milanese puro, con alcuni termini di origine Bergamasche.
Forma con i suoi affini il gruppo dei dialetti lombardi orientali: il bergamasco, il bresciano, il soresinese e il dialetto alto mantovano, e si incunea fra i dialetti milanese e soresinese più sonori, i quali ricevettero una maggiore caratterizzazione latina, o meglio la ebbero più presto e più a lungo.[senza fonte]
La fisionomia galloitalica è tutt'oggi parecchio evidente, anche stabilendo un confronto con i vernacoli dell'Alvernia in Francia dove si dice, esattamente come in cremasco, zoina (giovane), dou (due), Sant Roc de Munt Peliè.
Il gruppo lombardo orientale può essere agevolmente descritto attraverso le caratteristiche che non ha sviluppato come:
- la nasalizzazione: (non purtùn ma purtù) i sostantivi che finiscono per nasale sono completamente troncati (man -> mà). La sua assenza è portata alle estreme conseguenze nelle zone rurali, mentre in quelle cittadine è in parte conservata. Curioso è il fatto che dialetti limitrofi come il lodigiano ed il cremonese tipicamente "esasperino" la nasalizzazione.
- il mantenimento del "v" intervocalico: caval -> caal e in zone rurali la caduta di tutte le "v".
- la differenziazione del lessico: esso è rimasto abbastanza comune tra le parlate lombarde orientali (confronto: s'ciàt, bambino).
- la vocalizzazione in "a" leggermente arretrata (come quella di "langue" in francese) assunta come preferita (confronto: bresciano el ca, bergamasco ol ca, cremasco al ca). Questa vocalizzazione è tipica della bassa bergamasca, trevigliese e si smorza sulla bassa bresciana.
- la preferenza per "ò chiusa" anziché di "ö": bergamasco - bresciano föra = fuori, cremasco fora.
- la tendenza ad eliminare le consonanti mentre il gruppo lombardo orientale le vuole conservare.
- la metatesi delle terminazioni latine in "-ter": lat pater -> padre mentre in bresciano - bergamasco pader.
- nel contado rimane ancora la fricativa dentale sorda "th" (confronto: spagnolo "cena", inglese "thing") per alcune parole come sigòla -> thigòla.
- morfologicamente parlando, la perdita completa della forma "-ere" della terza coniugazione: rèt al posto di rider del bergamasco - bresciano.
- l'articolo determinativo plurale "li" al posto di "i": li mame -> i mame
- Non è mai stato condiviso un metodo di scrittura univoco per il dialetto cremasco. Nelle righe seguenti viene utilizzato quello del Vocabolario del dialetto di Crema in quanto documento più recente di studio. Altre grafie sembrano più attempate. La grafia si basa comunque su quella della lingua italiana, per quanto riguarda le vocali esse hanno 9 suoni, due in più dell'italiano standard. Inoltre la qualità stessa delle vocali può essere dissimile da quella toscana.
- a, e: sono leggermente più scure ed arretrate che in italiano (tratto comune lomb.)
- e, o: tendono ad avere un suono chiuso
- ö: simile al tedesco schön come in "söpa" (zuppa)
- ü simile al tedesco fünf come in " nüsü" (nessuno).
- b,p - d,t - v,f - l,r - gh - ch - s sono simili all'italiano, nel contado sono un po' più arretrate
- z designa la fricativa alveolare sonora di "rosa" in italiano: zent (gente)
- Il passato prossimo, il trapassato, il futuro anteriore, il congiuntivo passato e trapassato, il condizionale passato e l'infinito passato si formano, come in italiano, dalle corrispondenti forme dei verbi ausiliari seguite dal participio passato
- Il passato remoto non esiste pi ù come nella lingua lombarda in genere
- L'imperativo è ottenuto tramite perifrasi: ta ghèt da... = tu devi...
- Il participio presente non ha quasi mai funzione verbale, ma nominale: "sbruient" (bollente)
- Il gerundio non esiste in sé, se è usato lo è come prestito. Al suo posto si usano perifrasi come: "antant che pénse" (sto pensando), oppure altre forme a seconda della subordinazione che di conseguenza è quasi sempre implicita
Erano per la maggior parte italiani, una certificazione che garantiva l’origine controllata della creatività del tempo. Erano musicisti, architetti, decoratori, pittori, poeti, cantanti e librettisti, tutti richiesti dalle corti d’Europa quando la provenienza artistica italiana rappresentava la migliore espressione in ogni forma d’arte. Il Congresso di Vienna (1815) aveva decretato ripartizioni e confini nel periodo successivo al travolgente periodo napoleonico. Si poteva quindi ricominciare. Crema, appartenente all’Impero Austro Ungarico, è presente all’appello.
I teatri d’Italia
Ranuzio Pesadori, nato a Crema il 10 aprile 1800 da famiglia cremasca, all’epoca aveva venticinque anni e, dopo la formazione musicale e l’apprendimento necessari per creare le adeguate competenze, aveva già calcato le scene dei più importanti teatri d’Italia tra i quali La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, il regio teatro di Crema del Piermarini e il Teatro della Residenza reale di Messina. Emergevano dall’espressione vocale sia l’abilità interpretativa che l’ottima attitudine scenica, qualità che comunicavano la sensazione di una intensa partecipazione. Così dice la Rivista Musica, Roma, maggio 1918: “Ranuzio Pesadori sorprendeva per la chiarezza, uniformità ed estensione della sua voce, per la spontaneità con la quale sapeva affrontare le fioriture in questo fu emulo del suo contemporaneo Rubini”.
Alla corte di Federico Augusto
Viene assunto in qualità di tenore presso la corte di Sassonia. La fama del giovane tenore italiano raggiunse il re Federico Augusto che lo convocò a Dresda con regolare contratto in qualità di tenore sia del Teatro, sia della Cappella di Corte. Iniziò in questa occasione la collaborazione con il grande maestro Francesco Morlacchi, direttore dell’Opera Nazionale Italiana a Dresda. I due famosi musicisti cremaschi quali Pietro e Giovanni Bottesini omaggiano il celebre tenore. Le carriere artistiche, in modo particolare quelle musicali, ebbero l’opportunità di intrecciare tra loro i propri destini, e così avvenne a Crema, città che diede i natali a illustri musicisti. Troviamo una composizione di Pietro Bottesini, padre di Giovanni, dedicata a Ranuzio Pesadori. Ma anche il figlio ebbe l’occasione di incrociare la sua attività artistica, sebbene molto giovane, con Ranuzio.
Le sponde del fiume Elba
Il 10 maggio 1834 nella Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema viene riportato l’intrattenimento tenuto presso il Teatro della Regia Città di Crema, Accademia vocale ed strumentale, quando Giovanni Bottesini giovanetto accompagna nel canto Ranuzio Pesadori. “Lasciate per poco tempo le sponde dell’Elba che Dresda fanno ridente, calò in Italia il Sig. Ranuzio Pesadori cremasco, che già da nove anni ha stanza nella detta Capitale, ove copre l’onorifico posto di Primo Tenore della Cappella e Teatri di Corte. Nella sala del Ridotto il Pesadori al suo primo apparire venne jeri sera salutato con vera espansione di cuore da suoi compatrioti. Vivi e poi sempre più crescenti furono gli applausi allorché spiegò con tanta maestria la sua bella voce nel duetto della Straniera e nel bellissimo duetto dei Capuleti e Montecchi col giovanetto sig. Giovanni Bottesini”.
Il grande amore, Antoinette Helene Pechwell
Ranuzio, giovanissimo talentuoso venticinquenne del tempo, svolge a Dresda la sua intensa attività artistica nella quale irrompe, dopo circa otto anni, il grande amore, un vero coup de foudre. Antoinette Helene Pechwell è compositrice musicale, allieva di Alexander Klengel, eccellente concertista, pianista e suonatrice d’arpa, ma anche uno spirito intraprendente e brillante. Di lei parla Frederic Chopin nelle sue lettere ai familiari. Antoinette è figlia d’arte, il padre Joseph era stato rinomato ritrattista ed anche alto funzionario sovrintendente della Galleria d’Arte della Corte di Dresda. La frequentazione presso la Corte sassone rappresenta per Antoinette una quotidiana abitudine ed in questo affascinante contesto nasce l’intensa liaison amoureuse. Siamo nel maggio – giugno 1832, momento in cui Ranuzio parte in tournée presso il famoso Teatro dell’Opera di Lipsia, l’Ophernhaus.
Lettere d’amore
Come documenti testimoni di questa permanenza e del sentimento appena sbocciato restano le numerose lettere d’amore in originale che si scrissero in quella circostanza. Questi scritti descrivono le emozioni causate dalla obbligata lontananza, ma anche forniscono indirettamente importanti informazioni su fatti storici e musicali dell’epoca, con precisi riferimenti a particolari personaggi di spicco. Ranuzio e Antoinette si sposarono nella cattedrale cattolica della corte di Dresda. Ma un grande dramma incombeva sulle loro vite: l’adorata Antoinette mise al mondo un bimbo che non sopravvisse, seguito, dopo pochi giorni, dalla stessa Antoinette.
Il ritorno in Italia
In quegli anni l’opera nazionale tedesca prende il sopravvento sull’opera italiana. Lasciata Dresda, dove nuove possibilità espressive rappresentate dalle scuole nazionali di musica stavano affermandosi nei confronti dell’opera italiana, Ranuzio, nel 1835, ritorna in Italia. Ma quale Italia? Un’Italia in pezzi, divisa fra tanti staterelli, un clima tutt’altro che tranquillo anche all’interno di ogni stato, con turbolenze civili causate dalle richieste di cambiamento dei modelli istituzionali al fine di ottenere le varie costituzioni in difesa dei legittimi diritti di libertà. Ranuzio, pur essendo in possesso dell’importante salvacondotto rilasciato a Milano il 28 agosto 1835 dall’Augustissimo Imperatore Ferdinando I, re d’Ungheria, Boemia, Lombardia e Venezia, Arciduca d’Austria ecc. ecc. trova difficoltà di movimento nel passare da uno stato all’altro, un vero handicap per la sua professione.
Il nuovo matrimonio e la vita a Crema
Canta tuttavia di nuovo al San Carlo di Napoli e al Regio Teatro di Messina presso la residenza reale dove si trattiene anche in qualità di docente di canto. Decide poi di ritornare in Lombardia.
La vita continua. Nel 1845, all’età di quarantacinque anni, Ranuzio sposò Carolina Baletti di Crema: la coppia abitò in un bel palazzo lungo il Viale all’acqua, vicino al Regio Teatro del Piermarini. Misero al mondo nove figli e uno di questi, Federico, per l’appunto Federico Pesadori, fece studi giuridici ma la sua fama fu quella d’essere poeta dialettale cremasco. La vita di padre di una numerosa famiglia si svolse tra il palazzo di Crema e la tenuta di campagna in località Castello a Ricengo. Quanto alla professione continuò a cantare presso la cappella del Duomo di Crema, allora diretta dal sommo maestro Stefano Pavesi, anch’egli originario del territorio cremasco. Morì nel 1871. In ultimo, ma non ultimo, Ranuzio Pesadori è il trisnonno materno di chi scrive.
Le fonti
Mario Perolini, Vicende degli edifici monumentali e storici di Crema, Edizioni Al Grillo, Crema1975, pag.362. Severina Donati De Conti, Storia d’amore e di musica nell’Europa della Restaurazione, Fantigrafica Cremona, giugno 2012. Rivista Musica, anno XII, n.9, Roma 15 maggio 1918, Biblioteca Civica di Crema. Rivista Cremona, gennaio 1939. Documenti d’epoca da archivio privato.
I teatri d’Italia
Ranuzio Pesadori, nato a Crema il 10 aprile 1800 da famiglia cremasca, all’epoca aveva venticinque anni e, dopo la formazione musicale e l’apprendimento necessari per creare le adeguate competenze, aveva già calcato le scene dei più importanti teatri d’Italia tra i quali La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, il regio teatro di Crema del Piermarini e il Teatro della Residenza reale di Messina. Emergevano dall’espressione vocale sia l’abilità interpretativa che l’ottima attitudine scenica, qualità che comunicavano la sensazione di una intensa partecipazione. Così dice la Rivista Musica, Roma, maggio 1918: “Ranuzio Pesadori sorprendeva per la chiarezza, uniformità ed estensione della sua voce, per la spontaneità con la quale sapeva affrontare le fioriture in questo fu emulo del suo contemporaneo Rubini”.
Alla corte di Federico Augusto
Viene assunto in qualità di tenore presso la corte di Sassonia. La fama del giovane tenore italiano raggiunse il re Federico Augusto che lo convocò a Dresda con regolare contratto in qualità di tenore sia del Teatro, sia della Cappella di Corte. Iniziò in questa occasione la collaborazione con il grande maestro Francesco Morlacchi, direttore dell’Opera Nazionale Italiana a Dresda. I due famosi musicisti cremaschi quali Pietro e Giovanni Bottesini omaggiano il celebre tenore. Le carriere artistiche, in modo particolare quelle musicali, ebbero l’opportunità di intrecciare tra loro i propri destini, e così avvenne a Crema, città che diede i natali a illustri musicisti. Troviamo una composizione di Pietro Bottesini, padre di Giovanni, dedicata a Ranuzio Pesadori. Ma anche il figlio ebbe l’occasione di incrociare la sua attività artistica, sebbene molto giovane, con Ranuzio.
Il 10 maggio 1834 nella Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema viene riportato l’intrattenimento tenuto presso il Teatro della Regia Città di Crema, Accademia vocale ed strumentale, quando Giovanni Bottesini giovanetto accompagna nel canto Ranuzio Pesadori. “Lasciate per poco tempo le sponde dell’Elba che Dresda fanno ridente, calò in Italia il Sig. Ranuzio Pesadori cremasco, che già da nove anni ha stanza nella detta Capitale, ove copre l’onorifico posto di Primo Tenore della Cappella e Teatri di Corte. Nella sala del Ridotto il Pesadori al suo primo apparire venne jeri sera salutato con vera espansione di cuore da suoi compatrioti. Vivi e poi sempre più crescenti furono gli applausi allorché spiegò con tanta maestria la sua bella voce nel duetto della Straniera e nel bellissimo duetto dei Capuleti e Montecchi col giovanetto sig. Giovanni Bottesini”.
Il grande amore, Antoinette Helene Pechwell
Ranuzio, giovanissimo talentuoso venticinquenne del tempo, svolge a Dresda la sua intensa attività artistica nella quale irrompe, dopo circa otto anni, il grande amore, un vero coup de foudre. Antoinette Helene Pechwell è compositrice musicale, allieva di Alexander Klengel, eccellente concertista, pianista e suonatrice d’arpa, ma anche uno spirito intraprendente e brillante. Di lei parla Frederic Chopin nelle sue lettere ai familiari. Antoinette è figlia d’arte, il padre Joseph era stato rinomato ritrattista ed anche alto funzionario sovrintendente della Galleria d’Arte della Corte di Dresda. La frequentazione presso la Corte sassone rappresenta per Antoinette una quotidiana abitudine ed in questo affascinante contesto nasce l’intensa liaison amoureuse. Siamo nel maggio – giugno 1832, momento in cui Ranuzio parte in tournée presso il famoso Teatro dell’Opera di Lipsia, l’Ophernhaus.
Lettere d’amore
Come documenti testimoni di questa permanenza e del sentimento appena sbocciato restano le numerose lettere d’amore in originale che si scrissero in quella circostanza. Questi scritti descrivono le emozioni causate dalla obbligata lontananza, ma anche forniscono indirettamente importanti informazioni su fatti storici e musicali dell’epoca, con precisi riferimenti a particolari personaggi di spicco. Ranuzio e Antoinette si sposarono nella cattedrale cattolica della corte di Dresda. Ma un grande dramma incombeva sulle loro vite: l’adorata Antoinette mise al mondo un bimbo che non sopravvisse, seguito, dopo pochi giorni, dalla stessa Antoinette.
Il ritorno in Italia
In quegli anni l’opera nazionale tedesca prende il sopravvento sull’opera italiana. Lasciata Dresda, dove nuove possibilità espressive rappresentate dalle scuole nazionali di musica stavano affermandosi nei confronti dell’opera italiana, Ranuzio, nel 1835, ritorna in Italia. Ma quale Italia? Un’Italia in pezzi, divisa fra tanti staterelli, un clima tutt’altro che tranquillo anche all’interno di ogni stato, con turbolenze civili causate dalle richieste di cambiamento dei modelli istituzionali al fine di ottenere le varie costituzioni in difesa dei legittimi diritti di libertà. Ranuzio, pur essendo in possesso dell’importante salvacondotto rilasciato a Milano il 28 agosto 1835 dall’Augustissimo Imperatore Ferdinando I, re d’Ungheria, Boemia, Lombardia e Venezia, Arciduca d’Austria ecc. ecc. trova difficoltà di movimento nel passare da uno stato all’altro, un vero handicap per la sua professione.
Il nuovo matrimonio e la vita a Crema
Canta tuttavia di nuovo al San Carlo di Napoli e al Regio Teatro di Messina presso la residenza reale dove si trattiene anche in qualità di docente di canto. Decide poi di ritornare in Lombardia.
La vita continua. Nel 1845, all’età di quarantacinque anni, Ranuzio sposò Carolina Baletti di Crema: la coppia abitò in un bel palazzo lungo il Viale all’acqua, vicino al Regio Teatro del Piermarini. Misero al mondo nove figli e uno di questi, Federico, per l’appunto Federico Pesadori, fece studi giuridici ma la sua fama fu quella d’essere poeta dialettale cremasco. La vita di padre di una numerosa famiglia si svolse tra il palazzo di Crema e la tenuta di campagna in località Castello a Ricengo. Quanto alla professione continuò a cantare presso la cappella del Duomo di Crema, allora diretta dal sommo maestro Stefano Pavesi, anch’egli originario del territorio cremasco. Morì nel 1871. In ultimo, ma non ultimo, Ranuzio Pesadori è il trisnonno materno di chi scrive.
Le fonti
Mario Perolini, Vicende degli edifici monumentali e storici di Crema, Edizioni Al Grillo, Crema1975, pag.362. Severina Donati De Conti, Storia d’amore e di musica nell’Europa della Restaurazione, Fantigrafica Cremona, giugno 2012. Rivista Musica, anno XII, n.9, Roma 15 maggio 1918, Biblioteca Civica di Crema. Rivista Cremona, gennaio 1939. Documenti d’epoca da archivio privato.
Biografia
Nacque a Vergonzana il 3 novembre 1849 da una famiglia borghese. Suo padre, Ranunzio Pesadori, fu tenore alla corte di Sassonia. Raggiunta l'età scolare, frequentò un istituto semiprivato in Crema, i cui metodi educativi vennero immortalati in una lunga poesia dedicata al maestro Antonio Pavesi, intitolata Tèra da bucài (letteralmente "Terra o creta per boccali", allusione al detto popolare "diventare terra di camposanto"). Sin da piccolo si dimostrò un abile artista, sia nella musica, suonando il pianoforte, sia nel disegno, sviluppando una certa predilezione per le caricature.Successivamente proseguì gli studi classici al Ginnasio di Crema, poi al Liceo di Lodi e all’Università di Padova, dove nel 1872 si laureò in Diritto, intraprendendo poi la professione di notaio, da lui peraltro mai amata.
Dieci anni più tardi (1882) sposò Amina Lantieri, di Tirano, figlia del notaio dove fece praticantato. La coppia ebbe quattro figli, due dei quali morirono di tifo in tenera età. Proprio al piccolo Bruno è dedicata la struggente poesia L'ucarina (L’ocarina), l'ultimo regalo che fece al figlio prima che si ammalasse. Delle due figlie che raggiunsero l'età adulta, Rachele e Antonina, la prima andò in sposa ad un avvocato, la seconda al dottor Colonnello Ercole Monti di Perugia, stabilendosi poi in Alto Adige.
La sua vita si svolse tra Crema e il Castello di Ricengo, dove possedeva dei poderi e una cascina. Amante della vita ritirata e della campagna, si astenne dalla vita politica, pur non rinunciando a commentarne alcune vicende nelle sue poesie (si vedano Prima delle elezioni e Per i contrari al blocco dopo le elezioni)
Il destino volle che, nonostante il profondo legame con la sua città, si spegnesse lontano da Crema, a Bolzano, dove si era recato per trascorrere le feste pasquali presso la figlia e la nipotina Bruna, l'8 aprile del 1923.
Le sue spoglie furono composte nel Famedio del cimitero di Crema, dove riposano tutt'oggi.
Opera
L'opera poetica di Pesadori, interamente composta in dialetto cremasco, fu pubblicata a cura dell’autore stesso nel 1897, col titolo L’eco della patria lontana.Dopo la sua morte, venne ripubblicata negli anni 1930 e 1954 e ristampata integralmente nel 1974, per iniziativa della Banca Popolare di Crema, a cura del Centro Culturale Sant'Agostino e del Comitato Manifestazioni Cremasche. Singoli componimenti o gruppi di componimenti furono poi riprodotti in raccolte antologiche dedicate alla poesia cremasca, senza sostanziali varianti testuali.
L’edizione di riferimento è ad oggi quella apparsa nel 2000 per i tipi dell’editrice Leva (citata in Bibliografia). Lo studio complessivo più completo della sua produzione, a confronto con altri poeti dialettali e non, si deve al prof. Vittorio Dornetti (citato in Bibliografia).
Poesie
- A Crèma (quartine e sestine di endecasillabi, formate da distici a rima baciata)
- A la me Bruna (Alla mia Bruna- quartine di endecasillabi e versi brevi, la prima a rima alternata, le altre formate da distici a rima baciata)
- Ai casòt d' ingürie (Ai chioschi di angurie-sonetto)
- All'illustre professore (distici di endecasillabi a rima baciata)
- Dòpo ' l pecát dal pom... (Dopo il peccato della mela…-2 sestine di endecasillabi, formate da una quartina a rima incrociata e un distico a rima baciata)
- Fradèl Matèrna (Fratello Materna-distici di endecasillabi a rima baciata)
- Gh'ìem mangiát… (Avevamo mangiato…-distici di endecasillabi a rima baciata)
- I'amis? (Gli amici?- distici di endecasillabi a rima alterna, con chiusa a rima baciata)
- L'òrbo Vailat (Vailati il cieco- sestine di endecasillabi, formate da una quartina a rima alterna e un distico a rima baciata)
- L'ucarina (L’ocarina-sonetto)
- Lü l'e' dutur... (Lei è il dottore…-sonetto)
- Per i contrari al blocco dopo le elezioni (endecasillabi a rima alterna e baciata)
- Prima delle elezioni (sonetto)
- Suna a la Cesa (Suona alla Chiesa…-quartine di endecasillabi, formate da distici a rima baciata)
Bibliografia
- Vanni Groppelli, Poeti dialettali cremaschi di ieri e di oggi, ed. Cassa Rurale ed Artigiana, Crema 1980
- Federico Pesadori, Poesie dialettali cremasche, ed. Leva, Crema 2000
- Vittorio Dornetti, Dentro i confini della piccola patria, in "Insula Fulcheria" , XXXVIII, dicembre 2008 vol. B, pagg. 9-38.
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