L’ultimo cavaliere senza macchia: presentazione e intervista a Lowe Von Adler
Anteprima da "L'ultimo cavaliere senza macchia" e cinque domande all'autore
L'ultimo cavaliere senza macchia
Edito da Edizioni del Poggio nel 2019 • Pagine: 228 •
Come è nata l’idea di questo libro?
In una stagione di sconforto dove ahimè mi sono reso conto di aver perduto il nesso logico… di aver perduto la strada maestra, in una fitta nebbia di errori e dubbi.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Da uno a dieci… nove: libro difficile, romanzo sui generis, flusso di coscienza fluttuante ed inarrestabile.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Proust e Kafka.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Nato e cresciuto nella provincia cremonese.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Promuovere mia raccolta di poesie dal titolo Dietro La Porta Dell’Illusione e scrivere un romanzo a 4 mani
Edito da Edizioni del Poggio nel 2019 • Pagine: 228 •
"L'ultimo cavaliere senza macchia" è senz'altro un romanzo sui generis, forse difficile da digerire per la sua lucida follia! È una sorta di viaggio surreale, un viaggio metafisico di un uomo in pena che, guardandosi allo specchio non si vede! La sua stessa carnalità è andata scemando nella volgare affettazione di un mondo alla deriva! Egli medesimo si accorge dunque di non essere diventato altro che una sorta di malinconico burattino inesistente! Ma lui non demorde e tenta un ultimo colpo di coda per non affondare definitivamente ed inesorabilmente. È un cammino ad ampio respiro, che scalda i cuori... perché rigenerante! E sulla strada di una verità inconfessata si incontrano spiriti mesti... perché sfruttati e poi dimenticati... gettati impietosamente nel più bieco dimenticatoio!
Vedi la scheda del libro su Lafeltrinelli
DEDICA
Sabine,
ascolta! Risuona nel vento la mia malinconia, che si infrange nella
disillusione di un mondo che non c’è più,o forse non c’è mai stato. Io
canto una canzone che rompe il mio cuore,
le cui note, in un crescendo di attimi silenziosi e compiti, applaudono un ieri così lontano. Io dipingo una donna che è svanita nel nulla del mio pensiero, più triste. Io sogno una fuga che mi conduca a te.
Sabine ascolta l’esile voce di un lamento antico. Chi è Sabine? E’ il non senso di un sorriso, che profuma di marmellata al limone,mentre l’impiccato chiude, inesorabile,
gli occhi alla vita: è la sconfitta di un mio gesto, quando si apre una finestra ed entra un raggio di sole. E’ la lacrima di un angelo, che si specchia nelle rughe
di una donna che bestemmia contro una vita sbagliata. E’ la canzone stonata di un perdente, che vomita quell’ultimo bicchiere. Chi è Sabine? È un pensiero
ancora vergine e scivola l’inchiostro su quella pergamena, dove tu meravigliosamente vera ti mostri nella tua luce più segreta. Albero di pesco nuovamente fiorisce nel giardino delle fate felici.
Immersa nell’abito tuo di rose nere entri nel cuore di quanti incontrano, a sorpresa, il tuo sguardo, in preda a quel sorriso, in orgia di sensazioni antiche. E ne restano assopiti, dannatamente rapiti, mentre quella tua gentile beltà si immola nella melodia di quel dolce ruffiano che ti chiede un bacio d’amore.
I violini suonano la tua canzone, a noi strana memoria di un girotondo di cherubini in festa, e il cielo si scopre nuovamente stellato. Quel giovane pittore, amore che fugge, accarezza le tue
gote d’alabastro ed intanto un aquilone di carta pesta, dono di un felice presagio, vola, fiero, nelle piaghe di questo mio animo così confuso. C’erano tutti – e tu lo sai – alle nozze sacre!
Il saccente ha distrutto il palazzo incantato e tu Sabine, mia grandissima utopia, ti rinchiudi nel guscio dell’umana follia; dov’è il bastone del saggio? Nel pianto di Freia!
Qualcuno ha rubato il nettare di Fricka! Nella fertile terra della nostra Signora, un gioielliere d’alto rango ha creato l’opera d’arte … incastonata tra quei monti
galeotti sta la cittadella alta, che veglia il tuo respiro. Guarda Sabine quei due giovani amanti, belli e fulgidi in quella loro lucida pazzia!
Ferma e muta trionfa l’immagine dell’artifizio allucinato; nel frattempo, bagnato dal pianto del Werther prussiano, sta un pallido sole, che sputa le sue mille nevrosi … e la fontana, avvolta nell’enfasi di uno strano incantesimo, zampilla gli ultimi istanti di una pace oramai perduta.
le cui note, in un crescendo di attimi silenziosi e compiti, applaudono un ieri così lontano. Io dipingo una donna che è svanita nel nulla del mio pensiero, più triste. Io sogno una fuga che mi conduca a te.
Sabine ascolta l’esile voce di un lamento antico. Chi è Sabine? E’ il non senso di un sorriso, che profuma di marmellata al limone,mentre l’impiccato chiude, inesorabile,
gli occhi alla vita: è la sconfitta di un mio gesto, quando si apre una finestra ed entra un raggio di sole. E’ la lacrima di un angelo, che si specchia nelle rughe
di una donna che bestemmia contro una vita sbagliata. E’ la canzone stonata di un perdente, che vomita quell’ultimo bicchiere. Chi è Sabine? È un pensiero
ancora vergine e scivola l’inchiostro su quella pergamena, dove tu meravigliosamente vera ti mostri nella tua luce più segreta. Albero di pesco nuovamente fiorisce nel giardino delle fate felici.
Immersa nell’abito tuo di rose nere entri nel cuore di quanti incontrano, a sorpresa, il tuo sguardo, in preda a quel sorriso, in orgia di sensazioni antiche. E ne restano assopiti, dannatamente rapiti, mentre quella tua gentile beltà si immola nella melodia di quel dolce ruffiano che ti chiede un bacio d’amore.
I violini suonano la tua canzone, a noi strana memoria di un girotondo di cherubini in festa, e il cielo si scopre nuovamente stellato. Quel giovane pittore, amore che fugge, accarezza le tue
gote d’alabastro ed intanto un aquilone di carta pesta, dono di un felice presagio, vola, fiero, nelle piaghe di questo mio animo così confuso. C’erano tutti – e tu lo sai – alle nozze sacre!
Il saccente ha distrutto il palazzo incantato e tu Sabine, mia grandissima utopia, ti rinchiudi nel guscio dell’umana follia; dov’è il bastone del saggio? Nel pianto di Freia!
Qualcuno ha rubato il nettare di Fricka! Nella fertile terra della nostra Signora, un gioielliere d’alto rango ha creato l’opera d’arte … incastonata tra quei monti
galeotti sta la cittadella alta, che veglia il tuo respiro. Guarda Sabine quei due giovani amanti, belli e fulgidi in quella loro lucida pazzia!
Ferma e muta trionfa l’immagine dell’artifizio allucinato; nel frattempo, bagnato dal pianto del Werther prussiano, sta un pallido sole, che sputa le sue mille nevrosi … e la fontana, avvolta nell’enfasi di uno strano incantesimo, zampilla gli ultimi istanti di una pace oramai perduta.
Sventola il leone alato nel vento del ricordo. In cima alla disperazione; otto amanti tuoi vogliono
una tua carezza appassionata; ma quel mondo così bastardo e futile li deride come pazzi in camicia di gran gala. Hanno tentato invano di distruggere le tue catene, affinché tu potessi
ancora giocare, libera, in quel castello di carta velina; affinché tu potessi guarire il tuo popolo stanco ed oppresso e magari ricevere, a gentil tradimento, un sorso dell’ebbrezza divina, per poi donare una pugnalata senza storia e domandarsi,
come cretini, che senso abbia nascere per sotterrare l’amore.
una tua carezza appassionata; ma quel mondo così bastardo e futile li deride come pazzi in camicia di gran gala. Hanno tentato invano di distruggere le tue catene, affinché tu potessi
ancora giocare, libera, in quel castello di carta velina; affinché tu potessi guarire il tuo popolo stanco ed oppresso e magari ricevere, a gentil tradimento, un sorso dell’ebbrezza divina, per poi donare una pugnalata senza storia e domandarsi,
come cretini, che senso abbia nascere per sotterrare l’amore.
CAPTATIO BENEVOLENTIA
LETTERA A SABINE
Cara Sabine,
io
scrivo a Te in questa sera di maggio, sebbene io percepisca nel mio
gesto una sottile vena di lucida follia, che senz’altro un po’ mi
appartiene.
Tu
sei e resterai la mia sola grande Musa ispiratrice e non mi importa se i
più mi guarderanno con sospetto, perché ogni sorta di commento altrui è
per me fonte di grassa ilarità. E del resto, a dirla tutta, “la mamma
dei cretini resta sempre in cinta!”
Tu sei come quel leggero venticello, che, sorridendo, rincorri quel contadino laborioso, accaldato dalla fatica del quotidiano.
Tu
rappresenti quella triste melodia, vestita di nostalgica passione,
capace di rapire le emozioni più crude di quel giovane artista, profumo
di genio, che, in silenzio, amoreggia nell’opulenza di colori ribelli,
che si stendono supini su quella tela, ancora intonsa.
La
Tua Anima, così nobile e perversa, si sposa a pieno con la creatività
spavalda di colui che, ancor oggi, in questo tempo di puttane sempre in
vendita, trova l’attimo propizio per abbandonarsi, nudo alla meta, a
sogni sempre più blasfemi.
Se
chiudo gli occhi in quella notte, dove quei Tuoi ingombranti pensieri
di rivalsa si fanno sempre più Misteri; io mi accorgo di essere più
stupido che mai! Perché Ti vedo in quel gazebo di rose nere, mentre sei
intenta a sorseggiare, da quel calice dorato, emblema del Tuo sacro
Rango, il sangue di quel tuo ultimo amante!
Sei Tu, semplicemente Tu, dolce Sabine, la legittima Discendenza della “Fricka” Germanica.
Non è forse Tua Madre, fedele Custode di quel Nettare angelico, tanto caro al divino Wotan e alla Sua Celeste Stirpe?
Più
Ti penso, più cresce in me quell’assurdo azzardo di vederTi: quella
voglia matta di far incrociare, per la prima volta, i nostri sguardi
trasognanti; quell’assurda pretesa che gli stessi si possano finalmente
congiungere in un’ estasi subliminale, anche se fosse solamente per un
breve istante! Per poter finalmente provare l’ebbrezza di quella stessa
passione, che aveva proiettato nell’armonia dei sensi perduti gli
infernali Paolo e Francesca.
Vorrei
che il Tuo Soffio di Vita Eterna spronasse il mio intelletto, che
toccasse le corde del mio cuore, affinché questa mia penna malata
scivolasse, bramosa, su quell’ennesimo foglio, ancora vergine.
Ma
Tu, sdegnosa per Natura, sei alquanto evasiva, capricciosa: un giorno
io esisto, e Tu mi illudi con i Tuoi Baci di passione, per poi, senza
ritegno, negarmi la Tua Mano … il Tuo sostegno!
E
sei subito pronta, come una squallida Messalina, invasata, a sedurne un
altro. Ed io resto lì, come un idiota qualunque, smarrito nei miei
mille perché di un dolore indecente.
Se
avessi la certezza matematica che, donandoTi una rosa rossa Tu saresti
solo mia; la coglierei subito e, con occhi chiusi e cuore aperto,
cercherei dunque la più bella nel giardino delle proibizioni.
Eppure,
quando sono solo e mi guardo dentro, io comprendo bene che questa mia
gabbia dorata non potrà mai appartenerTi fino in fondo; perché Tu sei
libera di volare e non appartieni a nessuno, tanto meno appartieni a me!
E
spesso, sono sincero, cercandoTi invano, io spero che Tu possa spezzare
questo mio giogo, che mi tiene ancorato a questa realtà sempre più
opprimente.
Vorrei volare anch’io, con Te, sul Tuo Pegaso!
Scriverei
di quei due innamorati che per troppo amore sono svaniti nel nulla.
Dipingerei, con i colori del cielo, lo sguardo sognante di una giovane
mamma, che stringe, per la prima volta, quell’angelo biondo, di talco
vestito, al suo grembo ancora caldo. Tradurrei, in versi di malinconia,
quel languido lamento di un vecchierello canuto, che si ostina, con le
lacrime agli occhi, ad invocare il suo ieri. Correrei, a piedi scalzi,
in quel campo fiorito, inseguendo un cucciolo di cane…
Alla
Mia Musa, Sabine, io rinnovo il mio Saluto. E che queste parole la
inducano a non dimenticarsi di me! Che la Sua Ispirazione sia la mia
ispirazione; e che il mio canto non si svenda mai alla falsità e alla
ipocrisia di un millennio tutto da dimenticare.
Un abbraccio
Tuo per sempre Jacob
PREFAZIONE
E’
questo dunque una sorta di viaggio immaginario in terra d’oblio,
vissuto e celebrato nell’incertezza e nella precarietà; un viaggio
affascinante e nel contempo misterioso, in cui il medesimo uomo resta
affascinato dalla Signora del Nostro Cinema, OSSESSIONE, magnifica,
per eleganza e verità d’intento, l’ultima vera Diva della Settima Arte!
Tutto
ha inizio, quando il mondo, nella sua più intima implosione, va
scontrandosi con l’incertezza e la fragilità umana, la quale, in virtù
della sua più segreta verità, decide di abbandonarsi alla più fertile
pazzia, per applaudire, in un profetico silenzio, la virtuale fine di
ogni nesso logico, che contribuisce al mantenimento forzato di una
consuetudine falsa ed approssimativa.
Il
mondo scricchiola ed ogni cosa sembra destinata ad infrangersi contro
il muro invisibile della dilagante tracotanza di un uomo finito,
umiliato, perso nella sua più totale ed irrimediabile stupidità
all’ennesima potenza! L’uomo è morto nelle piaghe di quel mostro a due
teste che ha vinto la battaglia e che ora si appresta a vincere l’intera
guerra, sferrando il colpo di grazia, nei confronti di una società
malata, bastarda; una società di individui inutili e superflui!
Ma
la speranza è l’ultima a morire! E il cavaliere senza macchia, nostro
più intimo amico, cavalca il suo bianco destriero e attraversa la buia
selva della nostra stessa cattiveria, addomesticando in un’orgia quasi
mistica, gli ultimi rimasugli di piccoli cuori sanguinanti, ancora in
grado di amare.
E
forse l’oscurità delle tenebre verrà rischiarata, a sorpresa, da quella
piccola candela d’argento, che illumina, convinta e sincera, l’anima
bella di NOSTRA SIGNORA DELLA MONTAGNA.
È
un tracciato fantastico, dove la connotazione spazio-temporale si
annulla repentinamente, con la gradita consapevolezza di un POI
rivelatore, momento catartico per eccellenza.
E’
la ricerca perpetua di un’ ETERNITA’ conclamata; voglia appassionata di
toccare con mano la propria ESSENZA, svestendosi di quell’armatura che
ci opprime dentro, festeggiando, a sorpresa, il solenne ricongiungimento
col nostro GODOT di turno.
Un
viaggio silenzioso in compagnia del GENIO della LAMPADA, con cui VISO
d’ANGELO si imbatte in discussioni tragicamente abusate e ostinatamente
tradite dal nulla di una perfezione ad ogni costo, nell’enfasi
primordiale di quei quattro CHERUBINI impazziti.
Una
dolce utopia da ricercare, senza inganni e senza trucchi, nella
meraviglia agghiacciante di una luna vestita a festa, che strizza
l’occhio voglioso a quel bacio di stelle infatuate, mentre il folle
vento di una primavera lontana sussurra a quel sorriso basito la gioia
di due giovani menti, che si riscoprono nude per la prima volta,
nell’infuocato rossore di due gote in fiore.
E’
un itinerario di scatenata libertà d’azione, che si traduce in quel
desiderio inafferrabile di leggerezza di sensi legati al nesso logico di
un giorno lungo una notte; la fobia, senza velo, di tuffarsi,
increduli, nella verità assordante di quel bimbo vispo, che scivola
nella contentezza estrema di quella lieta estate, senza fine.
E’
il desiderio inconsueto di malinconia, una bramosia inspiegabile di
sparire nel dolore accettato di un vecchio barbone che non crede più al
domani, l’ultimo sorso di una vita alla deriva, per poi gettarsi
finalmente tra le invitanti lenzuola di un Morfeo accogliente.
E’
quella costante preghiera di un silenzio rumoroso, che ti costringe ad
annullarti in quel canto tantrico, mentre un’anima persa conta le rughe
dei suoi perché, leggeri, come quella piuma, che scompare nella brezza
più intima di un respiro, lungo un’ETERNITA’!
E’ la rivincita della fragilità umana, che si scompone, mesta e lenta, in quei piccoli frammenti di aulici pensieri.
L’io
si congiunge al non- io e il tutto abbraccia il nulla, descrivendo una
notte che, in mistico aspetto, sposa quella aulica sublimazione
interiore, tremolante in un’orgia senza fine.
PRIMA PARTE:
La perdita del NESSO LOGICO
Nel
buio più profondo di un millennio alla deriva, la terra è ormai
sommersa da quelle acque in rivolta, che , spavalde, e senza indugi,
hanno rotto quegli argini dell’umana follia!
E
tutto assomiglia sempre più ad una enorme accozzaglia di stupide
menzogne, studiate a tavolino, per fare impazzire il buon PADRE DI
FAMIGLIA …
Immondizia
di giovani e vecchi cuori, ricoverati in grigie corsie di ospedali per
anime perse, vanno lentamente consumandosi nella tracotanza
mistificatrice di quel bavoso mostro in litania di orgiastica
celebrazione.
Maledetto
Mostro a due teste, che, digrignando gli aguzzi denti, si eccita al
solo pensiero di cibarsi del conclamato terrore di uomini sbagliati,
semplicemente allo sbando.
Inferno
colossale di grida strazianti che, implorando perdono, invocano pietà a
Freia addolorata, sperando nella salvifica venuta ad hoc di quell’
Angelo vestito di fuoco che regala attimi di vanità!
Ed
intanto una musica assordante ti fa letteralmente impazzire dentro
quella scatola cranica, ormai in tilt e quel cervello, vestito di
ragnatele metalliche, si scontra con un dolore atroce che, implacabile,
ti lacera tutto, fino al tuo budello, fino alla parte più corrotta della
tua insignificante essenza di essere umano senza storia e senza gloria.
E ti accorgi all’improvviso di essere solamente uno squallido
individuo, un giullare di un tempo asfissiante!
Grossi
scarafaggi neri, in dialetto augusteo” bagarozzi”per nomea – con la
valigia sempre pronta- e ben pasciuti nel calore di quel fienile
complice, vanno somigliando, per fattezze e buona volontà, sempre più, a
degli appetitosi maiali da macello; i quali, con incedere sospetto,
sul quel campo di battaglia, cedono a quella malsana idea di un prossimo
ed imminente attacco, da un nemico sconosciuto.
Vasti
campi di grano infetto, bruciati dall’arsura più nera e da quella
“silenziosa sfiga”, monitorata, con perversione assoluta, in quello
sconfinato mondo paranoico; partoriscono creature indefinite, che si
eclissano in quelle quattro “balle di circostanza”, immonda
volgarizzazione di quelle atroci libertà violate, da quella allucinante
schiavitù purtroppo più volte dichiarata in un sogno di una notte di
mezza estate.
Mille
papaveri rossi, vestiti a lutto, nel pensiero voluttuoso di quella
puttana zoppa, che cerca invano, nel cassonetto più lercio, la fresca
carogna, massacrata a sassate, di quell’ultima sveltina, nata nella
solitudine di quel suo cuore malato, malato di una malinconia
inaspettata!
Urla
feroci e dissacranti di piccoli gnomi, perfidi e sporchi, che vomitano
–a più riprese- cattiverie assortite e intanto quel girotondo di bimbi ,
spaventati dal nulla, sparisce, lentamente, nell’oscurità più profonda,
perdendosi in quel labirinto di luci fioche, nelle feroci fauci,
insanguinate, di quell’ultimo mostro sbattuto, per meriti di audience,
in copertina!
E
quella plumbea atmosfera, senza capo e senza coda, rumoreggia a furor
di popolo, stordita nello schiaffo nefasto di un dio senza gloria;
mentre losche melodie, straripanti di non senso, solleticano spettri in
odore di una tardiva vendetta a denti stretti. Maledetta sia perciò …
quella clessidra di vetro opaco che scandisce, a singhiozzo e in un
silenzio quasi assordante, un tempo infame – che ahimè – non è più
tempo!
Maledetta
– lo ripeto col senno di poi – sia quella clessidra di vetro opaco,
dove una leggera sabbia di insignificanti verità e di velenose menzogne a
ventosa, si consumano assai lentamente nell’umana affettazione. E tutto
si tinge di una pigra tracotanza velata, senza ormai più mordente,
senza oramai più storia!
In una stagione di sconforto dove ahimè mi sono reso conto di aver perduto il nesso logico… di aver perduto la strada maestra, in una fitta nebbia di errori e dubbi.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Da uno a dieci… nove: libro difficile, romanzo sui generis, flusso di coscienza fluttuante ed inarrestabile.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Proust e Kafka.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Nato e cresciuto nella provincia cremonese.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Promuovere mia raccolta di poesie dal titolo Dietro La Porta Dell’Illusione e scrivere un romanzo a 4 mani
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