Lars
in quella tiepida sera di maggio, mentre sfatto si guardava allo specchio, non
poteva fare altro che odiarsi profondamente.
Nella
sua alquanto sgangherata bacheca d’amorosi sensi perduti; l’ennesima débacle
all’orizzonte: incauto trofeo di una caccia assurda primeggiava, affannosamente,
nello squallore di un monotono déjà vu!
La
sua giovane mente, da assuefatto piccolo borghese di vedute assai ristrette,
appariva sempre più boriosa e confusa,vomitando, a tradimento, le mute parole
di un’antica poesia, partorita da uno spirito in delirio:
“
Mi sono venduto ai pensieri più neri//di un giorno senza fine; di una notte
depauperata da ogni emozione propria.//Non ho più lacrime che bagnano questo
mio cuore arido ed affranto. Morta è ogni emozione dentro di me!//Voglio solo
vestirmi di questo silenzio ridondante.//Maledico me con estrema dolcezza, mentre
affondo in questo mare di nostalgia negata...//”
Il
giovane e sprovveduto Lars più si guardava riflesso in quel ventre di opaca ostilità,
più si rendeva certamente conto di quanto la sua stessa anima risultasse
sdrucita; di quanta immondizia si nascondesse dietro quel suo volto perso … di
Angelo nero.
Difficilmente
la sua medesima indole –così glaciale d’innanzi al sentimento altrui- si poteva
lasciare sedurre da quella strana voglia improvvisa di un sano e benefico
pianto liberatorio.
Ma
in quella maledetta circostanza così poco definita ed inattesa, le lacrime,
senza alcun pudore, gli vestivano, con una delicata tenerezza, quelle gote
d’alabastro!
E
così in quel suo piccolo mondo di certezze –fatto di castelli in aria e di
subdoli tranelli artificiosi- si annidava beffarda l’ombra oscura di LEI,
Rebecca la vogliosa!
Lei,
la sua lei,meravigliosa geisha del piacere più avvolgente; lei, infernale tormento
di una verità celata, di una verità difficile da sussurrare ai quattro venti!
Lars,
pallido come un cencio, era sempre là! Ostinatamente immobile e prigioniero
della sua immagine, come fantasma in cerca della sua eternità!
Folle
pazzia di indigesti frammenti; susseguirsi disordinato di fastidiosi momenti di
blanda serenità, vigliaccamente ancorati in un’anima grondante di una utopica
malinconia!
Ricordi
indelebili di un letto sfatto nella breve passione di uno sbadiglio, mentre i respiri,
che prima si cercavano nell’intrigo benevolo di quella voglia primordiale,
andavano lentamente morendo nella penombra di una timida candela, che
illuminava quel drappo orientale, che sapeva di zenzero e di vaniglia.
Due
corpi sudati, uniti in una musica senza tempo, danzavano increduli in quei
brividi di tormento, che si completavano a sorpresa nelle stonature forzate di
quella nota fuori posto!
Lei,
tenera più che mai, lo prendeva per mano in quel malizioso gioco di sguardi, trascinandolo
in quella ragnatela metallica di un teorema votato all’assurdo, umiliandolo con
quella leggiadra sciarada di baci convulsi, sperando invano in un semplice “TI
AMO”!
E
lui, bastardo più che mai, si lasciava accompagnare nella menzogna di
quell’isola che non c’era, perché troppa era la paura di risvegliarsi
l’indomani in un freddo letto vuoto!
Lars,
che sia maledetto lui! Si toccava freneticamente le labbra; quelle stesse
labbra che si saziavano, boriose, di fresca ipocrisia: tanti inutili ti amo
sempre più simili ad affilati coltelli, pronti a squarciare l’inconsapevole
preda di turno, una carcassa di beltà vestita, da mostrare, con gloriosa
tracotanza, al mondo intero.
Mentre
lei vittima perfetta, creatura predestinata era folle d’amore! E certamente,
vogliosa com’era, avrebbe fatto di tutto per lui; perfino venduto la sua acerba
essenza al primo Mefisto, che le avesse strizzato l’occhio per una notte di
fuochi d’artificio! Affinché il suo tarlo amoroso si potesse concretizzare in
un grido assoluto di passione ancestrale, senza limiti; senza confini!
A
lei, infelice ed illusa fino al midollo, non pesavano affatto quei quindici
anni di differenza; non le interessavano per niente le risatine dei ben
pensanti e le frecciatine velenose di un Lars scostante e maligno.
Lei
implorava semplicemente amore; anche un amore di circostanza, uno squallido
sentimento di plastica!
E
lui, quel barbaro invasore, puttana come appariva, lo sapeva benissimo! E così
ci giocava a più non posso! Solo sesso chiedeva; un gioco a due, di perversioni
reciproche, dove quell’anima debole e folgorata bramava, con la bava alla bocca,
un’esplosione incontrollata di sensi galeotti, in grado di innescare una
sciarada estrema di piccole schermaglie, da consumarsi sotto quelle lenzuola di
seta nera! Del resto, lo stesso Lars nella sua diabolica indole non era di
certo capace di manifestare fino in fondo uno straccio di trasporto emotivo!
Era come se quel giovane virgulto vivesse ogni suo amplesso in una sorta di
palestra virtuale, dove proprio lui era l’atleta di punta, l’uomo dei record!
E
così, in quello specchio di avvolgenti amarezze e di fini trabocchetti, non si
materializzava che un infingardo labirinto di ricordi funesti, che andavano
lentamente frantumandosi nel sorriso spento di un ragazzotto benestante, automa
di se stesso.
Era
dunque stata lei la parte tarata dei suoi primi trent’anni! Quell’assurdo
complotto di anime perse, che si svestivano della propria moralità, per
intraprendere una lunga ed estenuante cavalcata alla conquista del loro vello
d’oro!
Quel
loro primo e furtivo incontro,forse voluto da un destino beffardo, avveniva in
quel giardino fiorito, che costeggiava, in un dolce abbraccio, le antiche mura
della stessa chiesa in onore di Santa Barbara. Vivo era il sorriso di lei, vestita
a festa, in quell’abito corto a pois blu. Un fiore tra i capelli e quella
bionda tra le dita ingioiellate. Lei, gradevole ed appetibile, era seduta su
quella panchina di cedro antico, mentre, con civetteria, si apprestava a
sistemare quel trucco cascante.
E
lui spavaldo, come orrenda fiera in attesa di concupire sua sventurata preda, si
avvicinava guardingo e, senza proferir parola, le sfiorava la tremante mano. Le
sorrideva ammiccando proposte indecenti, fino a quando era sicuro che quelle
fragili barriere di difesa non fossero state pronte a crollare in modo
definitivo.
Lars
aveva vinto un’altra volta! Come godeva il Bastardo dentro di sé! Quel
parassita dell’amore aveva trovato un’altra volta la chiave giusta per scalfire
l’ennesimo cuore bisognoso d’amore! E adesso festa! Con una mano impudente le
accarezzava la chioma corvina e con quell’altra libera le sbottonava, uno ad
uno, quei bottoni di madreperla che impreziosivano quella camicetta bianca in
san gallo.
E
lei ubriacata, più che mai, da quella freccia di Cupido; dipingeva quella tela
ancora vergine! Scivolava lento, ma deciso il velluto della sua giovane mano,
che, come in una danza propiziatoria di un popolo lontano, esplorava goduriosa
quel possente corpo semi nudo di un Lars trionfante, alla scoperta di una
rinascita personale, nell’atrio più segreto di un’ Afrodite ritrovata!
Ricordi
brevi, istanti atrofizzati in quelle rugose pieghe di uno specchio mendacio!
Lars
era stanco, tremendamente stanco! La sua immagine riflessa lo infastidiva a tal
punto da succhiargli linfa vitale a
tradimento!
Era
ormai una specie di larva umana, che, per pigrizia e per paura di restare solo
con se stesso, si attaccava, con morbosa ossessione, all’amore di lei, sperando
in una pesca miracolosa!
Ma
proprio quel dannato san Valentino gli era stato fatale! Lei vedeva lui per la
prima volta; lei finalmente lo poteva percepire per quello che realmente era. E
subito, quei mille e mille castelli, in aria di armoniosa progettualità,
andavano sgretolandosi in un doloroso addio, vestito di rimpianti e di verità
inconfessabili.
Lui,
libero da ogni vincolo e mortificato nella sua vanità, accompagnava, mesto, lei verso quel treno di libertà! Nessuna
parola nell’aria, solamente mani che si stringevano forti e sciami di lacrime
impazzite, che scendevano copiose nel silenzio di una colossale sconfitta, che
sanciva di fatto la fine di una farsa lunga una stagione.
Lars,
sfinito e vinto, si allontanava da quello specchio maledetto, e girandosi, di
scatto, verso il suo sécretaire, secondo impero, si versava un cognac d’annata,
premio consolatorio di un addio malinconico. All’improvviso, il ragazzotto
vizioso afferrava un pesante posacenere in pietra e, con una grande veemenza,
lo scagliava contro quel vetro profetico. Biancaneve aveva avuto un’altra volta
ragione! Si lasciò cadere a terra come un peso morto e si raggomitolò
nell’angolo più buio di quella stanza opprimente, proprio come era solito fare
da bambino, per sfuggire i tuoni e i lampi.
Una
macchia di sangue, lentamente, andava sfumando mesta su quelle quattro pareti bianche
di una gabbia senza uscita. Forse l’Angelo della Morte, di lì a poco, avrebbe
fatto la sua comparsa!
LA
SUOCERA SUL TETTO
.
Artemio Sbroia era
un sano contadino della Bassa Bergamasca, sicuramente un gran lavoratore ed un
ottimo padre di famiglia.
Ogni mattina la
sua sveglia suonava alle quattro e dieci e lui, rispettando il copione di una
vita, dopo essersi lavato la faccia con acqua fredda e sapone di marsiglia,
correva entusiasta nella stalla di fortuna per mungere –a tempo di valzer- la
sua adorata Bianchina…
E quando il rito
era stato portato a termine il nostro Sbroia era solito regalare una preghiera
e un saluto alla Vergine…per poi cavalcare il suo trattore vecchio modello e
andare alla scoperta del suo piccolo mondo, fatto di verde, di sole e di quelle
tante certezze che lo rendevano la persona più prevedibile di questo mondo!
Lui, l’Artemio,
abitava in un cascinale tanto dozzinale quanto fatiscente in compagnia
della moglie Teresina Villanzoni e delle due figlie…la Mafalda, Maffy per i
pochi intimi, … e la Carlina.
Ma un destino
crudele aveva voluto che sotto il suo stesso tetto abitasse pure la sciura
Bettina Chiappetti, la frizzante madre novantenne della Teresina…E proprio la
suocera dell’Artemio quella domenica tre marzo si rese assoluta protagonista di
un’insolita barzelletta paesana…
L’Artemio stava
dunque tornando a casa sulla sua” limousine” poiché si era fatto all’improvviso
buio…e fischiettando, come uno scolaretto, lieto in cuor suo, pregustava quel
piatto di riso e rape che lo attendeva fumante sul tavolo della cucina…
Purtroppo i suoi
desideri furono turbati proprio sul più bello…quando vide all’ingresso del suo
cascinale una folla senza precedenti per quella piccola comunità rurale:
giornalisti, il prete e perfino Bepi il becchino!
Ma la cosa più
scioccante era la presenza dei carabinieri, della forestale, dei pompieri e di
due autoambulanze …mancava l’esercito e tutto era pronto per il peggio!
L’Artemio era
sbigottito, fermò la “ Limousine” …pensava ad un furto…l’unica cosa veramente
importante per lui era senza ombra di dubbio la sua adorata Bianchina…Poi ebbe
un sussulto “Forse che la sciura Bettina l’era stada rapida?”
L’idea che
qualcuno l’avesse potuto finalmente liberare di quell’ingombrante “Matrona” lo
stuzzicava a tal punto da fargli tornare di nuovo quella pazza voglia di
intimità con la Teresina…del resto era ormai da parecchio tempo che non l’aveva
più veduta come Dio l’aveva fatta!
…E magari perché
no! Ci sarebbe potuto anche scappare il tanto agognato erede maschio..
Ma i sogni di
gloria del Casanova della Bassa Bergamasca furono brutalmente infranti
dall’arrivo della Maffy.( La Maffy era conosciuta in zona con l’infausto
appellativo di “ VESUVIO” a causa di tutti quei grossi crateri che prendevano
forma su quel ghigno tozzo ed indelicato.
I suoi diciotto
anni erano distribuiti in un metro e cinquanta di altezza per cento chili di
grasse frustrazioni…si faceva prima a saltarla piuttosto che a girarle intorno!
Ora era single –
come lo Zio Sam insegna- o zitella per i nostalgici del bel parlato…ma fino a
tre mesi prima era la devota compagna di Felicino Paoloni il figlio del
macellaio…ma una questione di logistica della stessa coppia li aveva separati
per sempre…Anche se le malelingue del paese andavano dicendo in giro che il
vero motivo di questa débacle era da attribuirsi completamente alla povera
Maffy…Sembrerebbe infatti che la sventurata, durante un amorevole valzer a due,
avesse – nella foga della passione- compromesso la gabbia toracica del
Felicino…)
La ragazza infatti
si avvicinò al padre sussurrandogli all’orecchio delle frasi sconvolgenti.
L’uomo impallidì all’istante ed alzando lo sguardo basito al cielo borbottò:
“ Ma che t’ho
fatto Bettina…perché ce l’hai con me ?…”
Eh sì ! la sciura
Chiappetti era la star del giorno…ora si trovava sul tetto della casa in
camicia da notte di pizzo nero…cappello da mondina e sciarpa della DEA al
collo…al petto stringeva una vecchia valigia di cartone…
Tutto era nato
perché quel giorno Mike Bongiorno le aveva dato buca…la sua televendita
preferita quella del prosciutto era stata tagliata per dare spazio al faccione
sornione dell’impavido Emilio …e lei non ci stava!
Così sconfitta a
malincuore aveva cambiato programma…l’avesse mai fatto! Sul suo schermo apparve
lui …il Duce, fulgido nella sua uniforme di gran gala, e lei d’improvviso si
era riscoperta giovane e spensierata! E proprio le note di Giovinezza l’avevano
indotta a salire su quel tetto in segno di protesta …Nessuno purtroppo era
riuscito a farla desistere dal suo folle disegno…neppure il buon Pozzan
della Vita in Diretta…Aveva persino preso parte a quella delicata situazione
…tentando di raggiungere la vecchina sul tetto…l’accattivante Don Aristide
Mombelli , aitante curato campanaro… 40 anni e non sentirli!…
Ma a metà del suo
percorso era stato costretto a rinunciare all’impresa a causa della sequela di
ingiurie che l’inerme donnina aveva fatto uscire da quella sua dolce boccuccia
non del tutto vergine…
La sciura Bettina
era là in quel contesto alquanto grottesco perché a suo dire era stato Benito
stesso a chiamarla…lei non doveva fare altro che aspettare quell’aereo
tedesco che l’avrebbe prelevata e condotta sulla via della
salvezza…sarebbe giunta in un luogo magico dove si sarebbe potuta ricongiungere
con il suo amato Gino …Il Gino per dovere di cronaca non era mai tornato dalla
Grecia e nessuno seppe mai più nulla di lui!
L’arzilla
vecchietta non aveva per nulla intenzione di scendere da quel tetto…lei era
certa in cuor suo che l’aereo sarebbe arrivato….del resto lo aveva anche detto
Giorgino che lo sciopero dei voli era stato revocato! E per lei Checco
nazionale era istituzione allo stato puro! Tanto è vero che nel momento in cui
il giornalista fu allontanato dal piccolo schermo …lei entrò in una tremenda
fase di depressione…perché la sola idea di non cenare con lui a lume di candela
la faceva uscire pazza…
Mentre fuori si
stava scatenando l’inferno; l’insensibile Teresina, pasticciando in cucina,
sperava di trovare il pacco da 500.000 euro e di andare il più lontano
possibile dal marito e dalle figlie.
La folla sotto
quel tetto aumentava a vista d’occhio …Forse gli avvoltoi pensavano che
l’indomani sarebbero finiti da Bruno Vespa e magari perché no…una fiction da
protagonisti!
Ma alle 20.30 di
quel fatidico 3 marzo avvenne il miracolo…dal tetto incriminato volò la valigia
di nonna Bettina…una pioggia di mutandoni di lana;calzettoni; foto del Gino in
divisa da aviatore; un vecchio disco di “Giovinezza” e l’immancabile busto del
“buon “ Benito …
E così dieci
minuti dopo la vecchina era planata sul mastodontico materasso di quei
pompieri allibiti.
Senza dare alcuna
spiegazione entrò in casa…e con una non curanza degna di una diva delle più
consumate si accomodò sulla poltrona di velluto verde del povero Artemio
…isolandosi dal mondo.
Aveva
completamente dimenticato che proprio quella domenica sarebbe andata in onda
l’ultima ed imperdibile puntata di “ Orgoglio”…e lei non poteva mancare! Doveva
sapere se la Marchesa avrebbe consumato con il contadino…
Niente paura
l’aereo mandato dal Duce sarebbe ritornato l’indomani…Fuori c’era un po’ di
foschia!
LA SVOLTA DI
BARBARA
Barbara Persiani era una sciocca ragazzina di provincia.
Frequentava il liceo classico non per merito o perché possedesse una sorta di
cervello fruttuoso, capace di portare a termine, con grande onore, una simile
impresa … ma per casta! Lei era l’improbabile figlia del leggendario notaio Guido
Persiani, omuncolo avido e gran porco di professione. Un nome … una garanzia
per quel piccolo ed inutile paesello di provincia, falso ed ipocrita per
conclamata necessità!
Sprovvista di morale propria e di ingegno umano, la poverina … cretina per innata vocazione … campava a sopravvivere glorificandosi con il mondo intero per quel suo corpo da pin-up e per quella sua fisicità tanto discutibile che avrebbe fatto uscir pazzo un casereccio Michelangelo da due soldi dei nostri giorni.
Alta, slanciata … le provocanti forme al posto giusto, armonizzate ben distribuite nei punti strategici e decisamente al posto giusto … in uno spettacolo di piacevole idillio, che suscitava così i più bassi istinti animaleschi di chiunque per sfiga sua si trovasse al suo gentil cospetto.
Nel piccolo borgo medioevale lei era conosciuta come una leggiadra farfalla che non disdegnava affatto passare con facile disinvoltura da un fiore all’altro!
Quanta gioia e quanta beneficienza aveva dunque elargito con una assai gravosa presunzione di sé!
La sua giornata tipo … a parte parcheggiarsi cinque ore dietro un banco di facciata, la mattina … consisteva nell’autocelebrazione del suo ego smisurato, nella venerazione estrema di quella sua paciosa femminilità disarmante ed ammiccante allo stesso tempo. Il pomeriggio cherie trascorreva tre noiosissime ore in una palestra super lusso per modellare cosce e glutei, affinché quella sua carne così soda e accattivante non provasse la vergogna di un tragico e inevitabile declino nella valle della mediocrità!
Immancabile nel carnet della Barbara il the delle cinque rigorosamente sorseggiato nella caffetteria più in di quel piccolo paesello di stolte creature allo sbando. Naturalmente come una vip che si rispetti … lei non compariva mai sola sul luogo del delitto! Se Giorgio aveva da fare, Carlo il ganzo era già pronto a far da cavalier servente … e poi c’erano Gianni, Michele … Piero e all’occorrenza l’esercito della salvezza!
Chiunque partecipasse alla sacralità delle cinque si vedeva poi obbligato ad accompagnare la figlia del notaio Persiani nella via centrale di quel covo di vipere invidiose; cosicché la medesima fanciulla, gongolante del suo essere falsamente donna, potesse mostrare ai comuni mortali quanto di buono la natura le aveva elargito!
Per Barbarella il tempo andava incalzando e quindi, dopo aver concesso lo straordinario onore di una sua indimenticabile passerella e dopo aver stuzzicato i pruriti di quei quattro cafoni arricchiti, tornava beatamente sorniona nel suo caldo nido.
La dimora Persiani più che una casa non era altro che un grande e lussuoso albergo cinque stelle: gente che entrava; gente che usciva ad ogni ora del giorno.
Qui in queste mura di amorale perdizione, la ragazzina si faceva quattro salti in padella e poi come la Marylin dei Poveri subito in bagno, pronta per il restauro! La nottata era tutta sua!
Alle venti e trenta minuto più minuto meno, una cabriolet grigio metallizzato l’aspettava con estrema devozione nell’angolo più buio della via, lontana da occhi indiscreti e domande alquanto imbarazzanti e ridondanti!
E lei, la regina della notte, come una cenerentola senza orologio, alle quattro del mattino, annunciava il suo rientro, scendendo da un fuoristrada giallo titty e cantando a squarciagola una “tenera melodia” dedicata al buon e vecchio dio Bacco!
Barbarella era solita, come da copione, al sabato … disdegnare l’impegno scolastico, poiché urgeva l’irrinunciabile appuntamento con Fabrice, il coiffeur … amico e confidente. E sia mai, crollasse il mondo, che un sabato lei potesse rinunciare a questa goduriosa necessità!
I suoi capelli erano una priorità a prescindere, era vitale per lei trascorrere il sabato al salone di bellezza: la sua chioma doveva passare ad ogni costo da quel biondo paglierino, oramai demodé, a quel rosso acceso … da professionista titolare indiscussa di quel palo 17!
Generalmente il week-end era per la giovane Persiani l’occasione migliore per frequentare quella beauty farm all’ultimo grido … ma soprattutto l’occasione più ghiotta per sedurre – in incognito- l’ultimo sventurato di turno!
Eh sì! Avere una relazione stabile e sicura con la dolce Barbarella significava non solo assicurarsi un piccolo crack finanziario; ma principalmente mettere in preventivo l’acquisto certo di un pacchetto completo di sedute terapeutiche presso un buon psicoterapeuta, nella speranza più rosea di aver quel colpo di sedere per ritrovar se stessi!
Accadeva in una fredda notte di dicembre … mentre la nostra Barbarella, rintanata sotto quel piumone di oca giuliva, guardava un film col bel Di Caprio … all’improvviso la svolta! Una scritta piccola … piccola scorreva frettolosa ed intrigante su quello schermo piatto ultimo modello. Si cercavano infatti nuovi talenti per una serie televisiva; era gradito un bel personalino!
Così l’indomani, zaino di Prada in spalla, tra le mani una fetta di pane con la nutella … la nostra piccola eroina era seduta su quel pullman di terzo livello: direzione capitale!
La noia più nera sembrava accarezzare quel viaggio interminabile. Ma in una stazione, dimenticata da Dio, lo sguardo seducente di quella Bovary nostrana, scrutando oltre quel finestrino sporco di cacca di uccello, incrociava sguardo malinconico di giovane ragazzo trasandato.
Com’era diverso quel seducente vagabondo! Capelli corvini, lunghi … portati ribelli fin su quelle due spalle ben messe … occhi verdi come lo smeraldo più puro, tristi, dannatamente tristi. Vicino a lui una vecchia chitarra malconcia: non era certo uno di quei soliti viziati figli di papà ai quali lei stessa si era concessa a cuor leggero!
Il pullman si fermò come per magia e Barbarella, per la prima volta, agì dunque d’istinto … non pensando al suo proprio tornaconto … MIRACOLO! Raccolse il suo zainetto di Prada e senza pensarci corse incontro al vero amore!
Nel piccolo e stonato borgo di plastica nessuno la vide più! E quei pochi che giurarono di averla incontrata … dicevano di averla veduta in giro per l’Europa, nelle piazze delle più importanti capitali: il pallido cavaliere servente suonava con quella chitarra sgangherata melodie di cuore e lei leggiadra, come l’ultima étoile, danzava sulle ali di una ritrovata felicità, finalmente libera di essere realmente se stessa!
Sprovvista di morale propria e di ingegno umano, la poverina … cretina per innata vocazione … campava a sopravvivere glorificandosi con il mondo intero per quel suo corpo da pin-up e per quella sua fisicità tanto discutibile che avrebbe fatto uscir pazzo un casereccio Michelangelo da due soldi dei nostri giorni.
Alta, slanciata … le provocanti forme al posto giusto, armonizzate ben distribuite nei punti strategici e decisamente al posto giusto … in uno spettacolo di piacevole idillio, che suscitava così i più bassi istinti animaleschi di chiunque per sfiga sua si trovasse al suo gentil cospetto.
Nel piccolo borgo medioevale lei era conosciuta come una leggiadra farfalla che non disdegnava affatto passare con facile disinvoltura da un fiore all’altro!
Quanta gioia e quanta beneficienza aveva dunque elargito con una assai gravosa presunzione di sé!
La sua giornata tipo … a parte parcheggiarsi cinque ore dietro un banco di facciata, la mattina … consisteva nell’autocelebrazione del suo ego smisurato, nella venerazione estrema di quella sua paciosa femminilità disarmante ed ammiccante allo stesso tempo. Il pomeriggio cherie trascorreva tre noiosissime ore in una palestra super lusso per modellare cosce e glutei, affinché quella sua carne così soda e accattivante non provasse la vergogna di un tragico e inevitabile declino nella valle della mediocrità!
Immancabile nel carnet della Barbara il the delle cinque rigorosamente sorseggiato nella caffetteria più in di quel piccolo paesello di stolte creature allo sbando. Naturalmente come una vip che si rispetti … lei non compariva mai sola sul luogo del delitto! Se Giorgio aveva da fare, Carlo il ganzo era già pronto a far da cavalier servente … e poi c’erano Gianni, Michele … Piero e all’occorrenza l’esercito della salvezza!
Chiunque partecipasse alla sacralità delle cinque si vedeva poi obbligato ad accompagnare la figlia del notaio Persiani nella via centrale di quel covo di vipere invidiose; cosicché la medesima fanciulla, gongolante del suo essere falsamente donna, potesse mostrare ai comuni mortali quanto di buono la natura le aveva elargito!
Per Barbarella il tempo andava incalzando e quindi, dopo aver concesso lo straordinario onore di una sua indimenticabile passerella e dopo aver stuzzicato i pruriti di quei quattro cafoni arricchiti, tornava beatamente sorniona nel suo caldo nido.
La dimora Persiani più che una casa non era altro che un grande e lussuoso albergo cinque stelle: gente che entrava; gente che usciva ad ogni ora del giorno.
Qui in queste mura di amorale perdizione, la ragazzina si faceva quattro salti in padella e poi come la Marylin dei Poveri subito in bagno, pronta per il restauro! La nottata era tutta sua!
Alle venti e trenta minuto più minuto meno, una cabriolet grigio metallizzato l’aspettava con estrema devozione nell’angolo più buio della via, lontana da occhi indiscreti e domande alquanto imbarazzanti e ridondanti!
E lei, la regina della notte, come una cenerentola senza orologio, alle quattro del mattino, annunciava il suo rientro, scendendo da un fuoristrada giallo titty e cantando a squarciagola una “tenera melodia” dedicata al buon e vecchio dio Bacco!
Barbarella era solita, come da copione, al sabato … disdegnare l’impegno scolastico, poiché urgeva l’irrinunciabile appuntamento con Fabrice, il coiffeur … amico e confidente. E sia mai, crollasse il mondo, che un sabato lei potesse rinunciare a questa goduriosa necessità!
I suoi capelli erano una priorità a prescindere, era vitale per lei trascorrere il sabato al salone di bellezza: la sua chioma doveva passare ad ogni costo da quel biondo paglierino, oramai demodé, a quel rosso acceso … da professionista titolare indiscussa di quel palo 17!
Generalmente il week-end era per la giovane Persiani l’occasione migliore per frequentare quella beauty farm all’ultimo grido … ma soprattutto l’occasione più ghiotta per sedurre – in incognito- l’ultimo sventurato di turno!
Eh sì! Avere una relazione stabile e sicura con la dolce Barbarella significava non solo assicurarsi un piccolo crack finanziario; ma principalmente mettere in preventivo l’acquisto certo di un pacchetto completo di sedute terapeutiche presso un buon psicoterapeuta, nella speranza più rosea di aver quel colpo di sedere per ritrovar se stessi!
Accadeva in una fredda notte di dicembre … mentre la nostra Barbarella, rintanata sotto quel piumone di oca giuliva, guardava un film col bel Di Caprio … all’improvviso la svolta! Una scritta piccola … piccola scorreva frettolosa ed intrigante su quello schermo piatto ultimo modello. Si cercavano infatti nuovi talenti per una serie televisiva; era gradito un bel personalino!
Così l’indomani, zaino di Prada in spalla, tra le mani una fetta di pane con la nutella … la nostra piccola eroina era seduta su quel pullman di terzo livello: direzione capitale!
La noia più nera sembrava accarezzare quel viaggio interminabile. Ma in una stazione, dimenticata da Dio, lo sguardo seducente di quella Bovary nostrana, scrutando oltre quel finestrino sporco di cacca di uccello, incrociava sguardo malinconico di giovane ragazzo trasandato.
Com’era diverso quel seducente vagabondo! Capelli corvini, lunghi … portati ribelli fin su quelle due spalle ben messe … occhi verdi come lo smeraldo più puro, tristi, dannatamente tristi. Vicino a lui una vecchia chitarra malconcia: non era certo uno di quei soliti viziati figli di papà ai quali lei stessa si era concessa a cuor leggero!
Il pullman si fermò come per magia e Barbarella, per la prima volta, agì dunque d’istinto … non pensando al suo proprio tornaconto … MIRACOLO! Raccolse il suo zainetto di Prada e senza pensarci corse incontro al vero amore!
Nel piccolo e stonato borgo di plastica nessuno la vide più! E quei pochi che giurarono di averla incontrata … dicevano di averla veduta in giro per l’Europa, nelle piazze delle più importanti capitali: il pallido cavaliere servente suonava con quella chitarra sgangherata melodie di cuore e lei leggiadra, come l’ultima étoile, danzava sulle ali di una ritrovata felicità, finalmente libera di essere realmente se stessa!
LA MELODIA DI
SYBILLE
La vita scorreva
lieta in quella piccola cittadina di provincia, dove ogni cosa sembrava priva
di volgarità, dove ogni sentimento umano si proiettava dunque in modo benevolo
e creava una sorta di primavera sensoriale …
E lei la giovane
studentessa appena diplomata al conservatorio si apprestava in quella calda
domenica di fine luglio a lasciare quel nido d’ovatta, che l’aveva fino quel
giorno garbatamente svezzata.
Dopo aver raccolto
i pochi brandelli di una vita piatta si incamminò di buon grado, con passo
celere, verso la stazione … felice in cuor suo, come una giovane mente
ardimentosa d’apprendere i segreti velati del buon vivere … e non voltandosi
più indietro salì sul treno, anche se in un dolce istante di tenera commozione
… le scese furtivamente su quel viso ambrato una lacrima, mentre il suo nido
piano piano scompariva nel nulla. E con esso se ne andavano così i rancori e i
fantasmi di un passato ancora troppo recente!
La ragazza, con la
fantasia di un poeta ancora in erba, cercava, con fatica, nella sua testa
ancora alquanto scossa da quegli eventi … che si susseguivano incalzandola,
risposte certe sul suo domani!
Amore veritiero,
cercava invano! Non era certamente brutta la ragazzina di provincia, eppure
Afrodite … capricciosa per natura … l’aveva sempre punita con passioncelle
futili ed erronee, che attimo dopo attimo, l’avevano – ahimé- catapultata in
tetri labirinti di lacrime e di ostilità.
All’improvviso,
come in una favola di genere che si rispetti, ecco, dunque, un’inaspettata
magia, piovuta da un cielo assai benevolo e prolifico di bontà! Apparve dal
nulla giovane presenza fulgida nella sua uniforme di gran gala … con passo
celere e sicuro … catalizzava su di sé … sguardo voglioso di giovane donna,
assettata di sentimento sincero.
Nessuna parola di
cortesia ci fu nell’aria! Solamente un intrigante ed intenso gioco di pura e
sana perversione di sguardi e di intese reciproche … come se quelle due
creature angeliche fossero per fato e cospirazione divina obbligate
all’incontro !
E quando quel
treno -di una felicità a portata di mano – si arrestava dolcemente e quel
giovane uomo vestito di gloria propria apriva lo sportello, in quella
calda sera di mezza estate; la fanciulla, nel suo pieno turbinio di emozioni in
esplosione di divenire, raccolse la sua piccola storia, seguendo quindi
il suo cuore innamorato.
Camminava …
camminava contenta, come quel fragile pargolo in cerca d’affettuoso seno
materno … certa in anima sua di trovare quella sincera risposta, che l’avrebbe
realmente fatta sentire donna … vera e finita!
Il ragazzo entrò
quatto quatto in un grande parco, vegliato con cortesia d’intento da quel muto
leone alato, posto al centro di quell’idilliaca scena d’autor … e proseguì, con
il suo fiero incedere, degno della parata meglio riuscita, lungo quel viale di
cipressi secolari … fino a quando si trovò d’innanzi ad un’antica porta
dall’austero aspetto, che conduceva nel castello della sua tragica infanzia.
E lei …
meravigliosamente Sybille, fremente e sempre più coinvolta da quel fitto
mistero d’amore, aveva assistito impassibile ad ogni focoso passo di quel
pallido milite!
Senza riflettere e
senza porsi alcun quesito di genere; decise di aprire senza indugio la porta di
quel desiderio suo più intimo. E come moderna Arianna sfidò con immaginario
filo quel suo gaudioso labirinto …
La sua andatura
risultava tarda e lenta, ma nonostante ciò il suo piccolo cuore estasiato
pulsava all’impazzata, come se dovesse da un momento all’altro scoppiare di
cotanta contentezza!
Salì una scala a
chiocciola, ritrovando finalmente davanti a sé quel suo pallido eroe d’altro tempo
… e i suoi pensieri, che fino a quel giorno erano sempre stati puri, si fecero
sorprendentemente torbidi ed incontrollabili!
Gli occhi cerulei
di lei lo incalzavano senza pietà … come quel leggero venticello, amico sincero
di un Shelley, fine poeta. Mentre lui, l’Alessandro … gran condottiero dei
giorni nostri … avanzava timido su quella scacchiera immaginaria.
E quando fu al
cospetto della sua gentil Fedra … accarezzò con quelle sue forti e vogliose
mani i folti e biondi capelli di lei, mentre le ore … i minuti ed i secondi –
come antichi amoretti dispettosi – trascorrevano furtivi e malandrini
permettendo loro, teneri amanti in estasi di sensi, di giocare con la loro
spiccata sensualità!
Lui con una mano
tremante d’emozione le andava sbottonando quella bianca camicetta d’organza e
con l’altra si occupava garbatamente di quel tenero e giovane seno … mentre lei
per la prima volta ammetteva a sé stessa di sentirsi finalmente donna!
E quando i due si
sentirono improvvisamente nudi, come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, si
rifugiarono sotto morbide lenzuola di seta nera.
La notte si
disperse quindi in una assai piacevole melodia di cherubini gioiosi, che, in un
girotondo sfrenato d’ilarità, gridavano al modo la possibilità di
credere ancora all’amore.
Il sole,
l’indomani, danzò puntuale in quella stanza del piacere … baciando in fronte
l’ignara Sybille … lui non c’era più!
La guerra,
maledetta guerra, lo aveva rapito in una follia sconclusionata … e lei stordita
si accasciava su quella vecchia poltrona di velluto verde.
I giorni passavano
tiranni e del giovane solo meravigliosi e sfocati ricordi in un costante fermo
immagine … e nell’aria cupa vagava mesta quella canzone oramai nostalgica!
Sybille, fedele
come Argo nei confronti del suo amato Odisseo, si consumava in un pianto
ininterrotto … come se fosse mesta candela in una notte dannatamente buia …
dietro a quella finestra dalle tende strappate da un lancinante dolore senza
fine …
E alla fine seppe!
“come burrasca
benevola
Il peso del
passato … l’avvolse
E lei tremava in
quelle dolci lenzuola di seta nera
…
Viaggiava
incalzando la sua giovane fantasia repressa
Come Didone
splendida
Negli inferni
danteschi …
Dove sei? Cosa
fai?
E all’improvviso
nefasto presagio di una morte annunciata
Macchia di sangue apparve!
Quel ragazzo dal
volto triste
Fulgido in quella
sua uniforme di prestigio
Giaceva sul freddo
suolo
In terra straniera
Come un vecchio
albero stanco
Del proprio vivere
…
Lacrime solo
lacrime
Offriva quel viso
di donna
La dea Guerra
aveva dunque
Un’ altra giovane
vittima
Sedotto ed
abbandonato!”
LA CANZONE DI
SABINE
Sabine
era al settimo cielo …ancora dieci giorni e sarebbe diventata la blasonata
signora Von Schlagen.
Alla
soglia dei trent’anni poteva ritenersi davvero molto fortunata: una brillante
carriera come modella, il suo adorato Hagen… giovane e rampante avvocato
divorzista di nobili natali… e l’amore incondizionato di quel suo cocker
spaniel, Cesar…
Che
altro volere dalla vita? Forse…anzi sicuramente …il poter stringere al suo seno
un angelo biondo da educare e preparare alle intemperie della vita.
L’amore
per il suo Hagen era nato due anni prima in un modo quasi imbarazzante, durante
un evento mondano al quale la ragazza doveva fare da madrina …e proprio qui
accadde il delizioso imprevisto che avrebbe dunque fatto da start up alla loro
meravigliosa storia d’amore…
Infatti
mentre Sabine stava svelando le misteriose fattezze della statua ricoperta da
quel tessuto di velluto dorato,una spallina un po’ troppo libertina del suo
vestito fiorito si ruppe come per magia benevola e dallo stesso abito scivolò
fuori…incautamente… il suo tenero seno, regalando momenti di grande ilarità ed
imbarazzo generale…al pubblico presente, soprattutto a quello maschile.
E
a questo punto l’impavido Hagen Von Schlagen percependo a pelle l’imbarazzo
della giovane donna…si alzò in piedi e raggiunta la pallida vestale in evidente
stato confusionale …la coprì con tenerezza offrendole la sua giacca di gala.
Da
quel momento i due giovani divennero una cosa sola…e non importava che la
ragazza non fosse di nobile stirpe…a nessuno doveva interessare che Sabine era
di umili origini, il padre un modesto imbianchino e la madre una donna di
servizio presso un facoltoso notaio…
La
cosa importante era che la stessa ragazza per amore del suo uomo aveva deciso
di sua sponte di riprendere gli studi di filosofia, sempre tenendo conto dei
suoi innumerevoli impegni di modella in giro per il mondo.
E
non contenta di ciò, Sabine si era messa anche d’ingegno per apprendere in
breve tempo tutte quelle innumerevoli regole di bon ton che la blasonata
posizione sociale di Hagen le imponeva di conoscere a mena dito…del resto
l’aristocrazia non faceva sconti a nessuno!
Quindi
con quella sua caparbietà che la contraddistingueva vi era riuscita in modo
impeccabile, diventando così la musa ispiratrice dei salotti dabbene.
Oramai
i giochi erano fatti …la villa sulla collina era quasi pronta, il viaggio di
nozze stabilito …ed ogni più piccolo dettaglio dell’imminente sontuosa
cerimonia non era stato lasciato al caso!
Si
poteva dire a pieno titolo che ogni cosa collimava alla perfezione come gli
ingranaggi del più complicato orologio svizzero!
Eppure
ahimè qualcosa nell’aria stava cambiando…lo si sentiva a pelle, anche le gambe
cominciavano a fare giacomo giacomo! Grossi nuvoloni neri come esuli pensieri
di morte stavano minacciando con ferocia una forte tempesta sulla vita dei due
futuri sposi! E senza pietà stavano annunciando un finale al cardiopalma, un
finale che avrebbe lasciato tutti a bocca aperta…
Ebbene
sì … il giovane Hagen a pochi giorni dal fatidico giorno non era più lui! Aveva
smesso senza motivo di frequentare la palestra…disertava senza alcun perché il
suo adorato lavoro ed ogni impegno sociale presente sulla sua fitta agenda.
Era
divenuto apatico ed ogni cosa che lo circondava non gli dava più stimolo, non
gli regalava alcuna emozione….anzi lo infastidiva e lo torturava a tal punto da
doversi rifugiare nei piaceri di Bacco e nella vigliaccheria di quella
maledetta polvere bianca.
Della
sua bellezza di dandy romantico non era rimasto più nulla! Al suo posto un
vecchio giovane dal volto scavato e dalle mani tremanti.
Perfino
la sua amata Sabine era diventata per lui una sorta di zavorra da cui liberarsi
al più presto, un peso orripilante da gettare al più presto nel buio della
valle dell’oblio!
Non
riusciva più a guardarla negli occhi …non poteva più accarezzarle quelle gote
d’alabastro…quel suo profumo di primule a primavera gli dava la nausea …tutto
di lei gli faceva schifo! Figuriamoci il sesso…una punizione da evitare a tutti
costi!
Per
non soccombere in modo definitivo nella frustrante rabbia della propria
impotenza, Hagen era sceso dal treno della vita e si era definitivamente
raggomitolato in quella sua opprimente scatola di dubbi e di paure, fuggendo a
torto la verità di sé e lasciando nell’angoscia più profonda la povera e
sconcertata Sabine…la quale non riusciva a comprendere il motivo per cui
proprio il suo più grande sogno stava andando alla deriva.
La
ragazza infatti era come se si fosse svegliata da un incubo…intontita…quasi
drogata dagli eventi stessi…sembrava quasi che la terra le si assottigliasse
sotto i piedi.
Non
riusciva bene a comprendere la ragione più intima di quella improvvisa ed
inaspettata sciarada…
E
fu così che la sventurata prese il coraggio a due mani di recarsi
nell’appartamento del suo ex…voleva a tutti costi sbattere la testa contro quel
possente muro di menzogne e di verità!
Appena
Sabine aprì la porta di quell’appartamento rimase sconvolta da quanto le si
presentava davanti a quei suoi occhi increduli…un’accozzaglia di rifiuti
biodegradabili e non erano sparsi senza ritegno su tutta quanta la superficie
emanando un puzzo indescrivibile …un fetore allucinante che torturava senza
pietà il respiro della donna che si faceva sempre più difficile…povera
creatura! Si sentiva come un pesce fuor d’acqua …un fantasma tra le macerie di
un declino umano.
La
ragazza tremante si fece dunque forza e cominciò a farsi largo tra l’acre odore
ed il pattume accumulato… si fermò solamente nel momento in cui, alzato il capo
di scatto, riconobbe la sciagura! Dal soffitto pendeva il corpo inanimato di
quel principe del foro…suo grande ed unico amore!
Sabine
si accasciò tenendosi prontamente attaccata alla vecchia poltrona di stoffa
verde che ornava il salotto di quella camera mortuaria…
Il
cuore le batteva all’impazzata e quelle mille lacrime di un dolore lancinante
non smettevano più di bagnarle il suo sguardo assente, ormai perso nella
malinconia più nera!
Perché
l’insensatezza di tale gesto?…una busta gialla…una sola cruda verità!
“caro
amore mio…ti ho voluto bene …un mondo di bene…credimi! ma forse la mia
affezione nei tuoi riguardi era più fraterna che passionale! E non per colpa
tua! Del resto mia dolce Sabine provare un sentimento di trasporto nei tuoi
confronti è facile…oserei dire quasi naturale.
La
tua bontà d’animo, la tua gentilezza verso l’altro conquistano a prima vista
…ed io-bambino dentro- fragile e confuso mi sono rintanato nella certezza del
tuo amore ovattato…così puro e gratuito…che egoista ho preso tutto da te e non
ti ho dato nulla di me! Che bastardo! Dentro di me ho sempre saputo la
verità…quel tormento del mio segreto più intimo!
Ti
ho chiesto in sposa per reprimere la mia vera natura…per nascondere a me stesso
e soprattutto agli altri la mia indole…la mia veritiera inclinazione sessuale…
Ti
ho usata in modo squallido facendoti terra bruciata intorno costruendoti inutili
castelli di sabbia…
E
non mi sono reso conto di averti rinchiusa in una gabbia di menzogne e di
consuetudini…e adesso che ti consegno di nuovo la tua libertà ….mi sento un
fallito…un miserabile…un vigliacco!
Mi
tolgo la vita perché non posso più restare qui…ho detto a Rudolph del mio
trasporto nei suoi riguardi…e lui mi ha guardato con sufficienza …ridendomi in
faccia.
Non
contento di ciò mi ha massacrato via computer rendendomi l’ultimo giullare di
corte…la vittima ideale per la gogna mediatica!
Basta!
Non ce la faccio più! Voglio solo sparire nell’oblio di una notte eterna e
risvegliarmi tra le braccia vogliose di un salvifico MORFEO!…
Perdonami!
Ti
bacio…un arrivederci
Tuo
per sempre Hagen
La
ragazza sconvolta uscì da quell’appartamento chiudendo dietro di sé la porta di
quella realtà inconfessabile …
Per
la prima volta nella sua breve esistenza Sabine aveva subito una clamorosa
sconfitta … il destino aveva così segnato un punto a suo favore!
chiudere
gli occhi
raggomitolato
nell’angolo più buio
di un’anima sdrucita
…
vomitare senza ritegno
quell’assordante
MALINCONIA
perché dentro di te
ti scopri più bastardo che mai
…
prendere la rincorsa
per diventare
il vero sicario
di te stesso…
raggomitolato
nell’angolo più buio
di un’anima sdrucita
…
vomitare senza ritegno
quell’assordante
MALINCONIA
perché dentro di te
ti scopri più bastardo che mai
…
prendere la rincorsa
per diventare
il vero sicario
di te stesso…
mi
spezzo
silenziosamente
contro quel muro
di gratuite meschinità
che ostruiscono
il ricordo sbiadito
di un volo di gabbiano
nelle avvolgenti braccia
di Eolo innamorato
silenziosamente
contro quel muro
di gratuite meschinità
che ostruiscono
il ricordo sbiadito
di un volo di gabbiano
nelle avvolgenti braccia
di Eolo innamorato
indosso
a tradimento
quella maledetta maschera
di CONSUETUDINE
che mi opprime…
e
il respiro
si fa sempre più
EVANESCENTE
….
a tradimento
quella maledetta maschera
di CONSUETUDINE
che mi opprime…
e
il respiro
si fa sempre più
EVANESCENTE
….
STUPIDA
ILLUSIONE!
mi
fingo a più riprese
gioioso
nel vomitare
istante dopo istante
questa mia vita
che non
mi appartiene
gioioso
nel vomitare
istante dopo istante
questa mia vita
che non
mi appartiene
per
poi
la sera
delle mille verità
guardarmi dentro
e riscoprirmi
BASTARDO
più che mai!
la sera
delle mille verità
guardarmi dentro
e riscoprirmi
BASTARDO
più che mai!
Quando quella candida veste … di
sangue si macchiò
L’ultimo acuto di quel cigno ballerino
Ricordo
ancora, emozionato e stupito, quel piccolo angolo di Paradiso perduto, fedele
ostaggio di quell’ultimo drago, che nessun cavaliere di buona volontà era
riuscito mai a domare fino in fondo!
Un
minuscolo fazzoletto di terra profumata; una poesia di prati in fiore, che
celava dolce amoreggiar di venticello assai galante; mentre quegli alberi
secolari, toccando il cielo con un dito, cullavano quei teneri amori tra
ingenui adolescenti, ancora lindi nell’animo in tormento … e così andava
lentamente trionfando la melodia, senza tempo e senza storia, di quel laghetto
cristallino, dimora di quel cigno ballerino … animale regale, dal vestito
candido come la neve, che ogni notte – al chiaro di luna- conversando con
l’ultimo angelo caduto sulla terra, danzava sulle note della sua stessa
felicità!
E
poi … in quella triste mattinata di un novembre galeotto, dove la nebbia, fitta
e meschina, avvolgeva, con veemente prepotenza, ogni cosa che le si presentava
addosso … si dipanò malinconica verità : macchia di sangue sporcava acqua
cristallina e dolce carcassa di un danzatore, caduto ormai in disgrazia,
galleggiava fredda ed inerme stroncata dalla sua fragile dolcezza!
Così,
all’improvviso in un battito d’ala, in quel novembre tristemente cupo per
nostalgia di eventi … speculare sciagura di umana sofferenza andava piano piano
manifestandosi all’unisono … là, in quella nera prigione dalle pareti
asfissianti, stretta in quella morsa di apatico silenzio di una grigia
combriccola di fabbriche fumanti!
Maledetta
scatola, senza via d’uscita, opprimente trappola per topi da esperimento,
uccideva istante dopo istante flebile respiro di fanciulla mortificata dalla
stessa sua vita.
In
una stanza buia e spoglia di ricordi, dolcemente accoccolata su di quel letto
sfatto di rose appassite, giaceva, muto ed in eterna solitudine di intento,
fragile corpo di donna violata!
Bella
più che mai, come la Fedra migliore di ogni tempo fecondo … baciata in fronte
da quello stesso Racine innamorato … gioia furtiva di occhi sognanti!
Aveva
soffici capelli corvini, raccolti, con garbata gentilezza, in quella treccia
dal sapore antico; aveva occhi grandi e profondi … di cielo vestito a
primavera, che in un incubo senza fine erano sbarrati d’innanzi al nulla di una
verità nascosta ed imploravano invano una pietà inascoltata.
E
che dire della sua acerba pelle d’avorio che odorava di bosco … e brillava in
saette di luce, risplendendo al nuovo giorno, che mestamente si materializzava
al cospetto di quella umana cattiveria difficile da sradicare … era avvolta,
con garbata dolcezza, in quell’abito di chiffon giallo, che le lasciava
scoperte, in una meravigliosa poesia d’altro tempo, quelle tenere parti di
femminilità repressa per ingenua timidezza.
Ma
attorno a quel corpo dalle geometrie perfette, come lucciole in festoso corteo
estivo, scivolava perfido sciame di piccole pillole letali, retaggio indiscusso
di una voglia pazza di farla finita … di una voglia pazza di gettarsi, senza
mai voltarsi in dietro, in quel sottile baratro, che l’avrebbe di certo
condotta nella valle dell’oblio, nel paese dei balocchi … dove forse per la
prima volta si sarebbe potuta finalmente sentire viva!
Se
mi fermo a pensare ai perché della vita – credetemi sulla parola- sento brividi
di un dolore atroce e mi piego, ormai spezzato, a quella malinconica memoria di
un ricordo crudo ed insopportabile!
Chiudo
dunque gli occhi, gonfi di lacrime incredule, in una sorta di forzata
compostezza e mi accorgo di vedere lei, in tutto il suo splendore … soccombere ingiustamente tra le forti ed ingannevoli braccia di
quell’ultima belva, con l’abito della domenica, che, in preda ai suoi pruriti
più subdoli e ai suoi istinti più bassi, si ciba, con la bava alla bocca di
quella verginità violata!
La
ragazza non avrebbe mai immaginato che quel lecito rifiuto di un ballo
proibito, in riva ad un mare immaginario, in una notte falsamente propizia, nel
caldo abbraccio di un’estate incalzante; avrebbe così potuto determinare quella
causa scatenante, che l’avrebbe poi condotta tra le impalpabili ed avvolgenti
braccia del buon Morfeo, perfetto spettatore!
…
Era dunque lei, la fanciulla dalla lucente chioma corvina, sistemata con garbo
in un elegante chignon dal profumo di fiaba d’altro tempo!
Era
dunque lei, la giovane Venere sognante dall’essenza meravigliosa di quella
fresca pelle d’avorio luminoso!
Com’era
bella, tremendamente bella, quel nefasto
quindici Luglio … nel giorno felice di quel genetliaco: sedici splendidi anni
in speranza di un futuro a lei ameno.
Elegante,
come Musa fortemente cercata da acerbo pittore in erba, desideroso di
ispirazione ad ogni costo, si mostrava … lieta in quel suo piccolo cor, che
batteva all’impazzata.
Apparve
così, come gentil nuvola di seta bianca abbigliata, in quell’immenso salone
delle feste, brulicante di giovani aitanti ansiosi, in testa loro, di danzare
quel primo valzer di felicità.
Ma
lei … il suo principe azzurro lo aveva già – di grazia- incontrato: bello e splendente in quella sua uniforme di
gala; perché lui non era altro che speranzoso cadetto di una prestigiosa scuola
militare.
Anche,
se in verità, i due giovani si frequentavano ormai da tempi non sospetti, da
quella loro tenera infanzia di ovatta e di zucchero filato!
Fin
da piccoli, infatti, i due bimbi, alla scoperta del loro mondo circostante,
avevano respirato la medesima aria; avevano calpestato gli stessi prati verdi.
Questo
all’occhio altrui poteva quindi apparire come una specie di amore” geniale”, un
amore spavaldo … avvolgente come il sole! Un sentimento “ burroso” che era
cresciuto giorno dopo giorno in uno straordinario respiro reciproco; nella
libertà più assoluta e nella sincerità più concreta di armoniosa ed amorosa
corrispondenza di sensi …
Un’
orchestra, in frac vestita, stuzzicava –
infingarda- quei mille violini sognanti che, in timida sinfonia di una notte,
perduta nella voglia più estrema di un contatto di pelle, si accingevano a
regalare un idillio di malinconiche promesse;
mentre il canto silenzioso di un’opaca luna, pallida vestale,
accarezzava maternamente quel desiderio primordiale di essere amati … per tutta
la vita!
Mano
nella mano, tra i sorrisi d’argento, sinceri e pressanti, lui e lei, in folle
giravolta di sguardi assoluti, volteggiavano beati in un baratro a loro guisa,
senza spazio e senza tempo.
…
Ma – ahimé- anche la favola più lieta ha purtroppo il suo esasperato rovescio
della medaglia! Lui, cadetto nell’anima e nella testa, quella sera, in preda
alla ferocia dei suoi diciotto anni, in balia della boria dei suoi pruriti
giovanili, si vendette, senza provare alcun ritegno di sorta, alla chimera di
un Bacco traditore!
E
così, disinibito e lussurioso … con la smania di mostrarsi falsamente uomo,
portò la sua lei nel “Giardino d’inverno” e in mezzo a rose antiche ed orchidee
di ogni specie … violò con rabbiosa
voracità l’intimità di quella fanciulla, che dell’amore eterno aveva fatto il
suo mantra! E lei, sconfitta e amareggiata, si accorse che quella sua candida
veste … di sangue si era macchiata!
Se
chiudo gli occhi rivedo quella fragile ragazza stesa su quel letto di rose
appassite, mentre da una trave a vista pende, freddo e privo di vita, il corpo
in splendente uniforme di quel bastardo, che si faceva chiamare uomo … “la
musica è finita … gli amici se ne
vanno!”
MANI DI FATA
C’era
una volta un Paese felice, che si trovava ubicato su di una piccola collina
sempre in fiore … Qui nessuno sapeva cosa fosse la guerra; qui nessuno –grazie
a Dio- aveva mai avuto sentore di cosa significasse “giocare” d’indifferenza …
Tutti,
come in un’enorme bolla di sapone di melensa castità di puro sentimento, erano
gentili gli uni con gli altri, era come assistere ad un meraviglioso girotondo
di bontà targata “Mulino Bianco”!
In
questo luogo non era mai inverno! Non vi era mai il buio! Era dunque sempre primavera
… di cuore e di anima! Qui era sempre la stagione dei fiori di pesco appena
sbocciati … dei pini e dei pioppi secolari che si incontravano in un eterno
abbraccio di rami intrecciati …
E
in quell’aria che odorava di gentil novità si propagava in un delirio di
corrispondenza di armoniosi sensi … quel canto ingenuo e fecondo di un piccolo
usignolo perennemente in festa.
Ma
tutta questa beatitudine oggi andava lentamente scemando in un’isteria
collettiva. Sua Grazia, il principe Ettore – legittimo erede al trono- aveva
dunque glorioso genetliaco! E tutto il regno era così in giustificato fermento,
in quanto il giovane aristocratico avrebbe compiuto il ventiseiesimo anno di
età …
momento in cui, nolente o volente, lui stesso avrebbe dovuto assumersi
l’onere di scegliere cortese consorte, per poi convolare a giuste nozze;
giurando eterna fedeltà, di anima e di intenti, … a quel trono paterno, che di
lì a poco gli sarebbe spettato, per legittimo diritto di nascita e di sangue,
alla morte del sovrano suo padre!
Tradizione
voleva infatti che giovane virgulto di regal discendenza scegliesse … in fatal
contesa di giovani fanciulle, l’una contro l’altra, in simpatica tenzone …
sorriso di donna, che l’ avrebbe dunque accompagnato in sua vecchiaia, in una
gioiosa musica comune!
Infatti
molte tra le ragazze, sparse tra le numerose cittadine del regno, in età da
marito, avevano accettato di buon grado di sfidarsi, senza esclusione di colpi,
in quel solenne gioco al massacro, che avrebbe di certo cambiato loro la stessa
esistenza.
Il
tutto consisteva nel donare al regal rampollo un piccolo cadeau fuori dal
comune, un piccolo dono innocente capace di riscaldargli il cuore,
procurandogli emozioni sincere e pulsanti!
Colei
che avesse fatto breccia nel suo impavido cuore ancora vergine del vero amore;
avrebbe dunque avuto la ghiotta occasione di porgere su suo capo acerbo corona
in gemme assai preziose …
Tra
le molti partecipanti al lieto evento, ce n’era una, che nessuno di certo, in
quel piccolo regno di pace e di bontà, avrebbe mai potuto affermare, a cuor
leggero, che possedesse le qualità calzanti per partecipare a cotanta tenzone …
perché non era lei di nobili natali; perché la stessa natura, matrigna crudele,
si era accanita, assai prepotentemente, nei suoi confronti, negandole, a
priori, la stuzzicante gioia di avvenenza ed eleganza!
Ma
lei … l’Ubalda, vent’anni di lieta spensieratezza, incurante di tutto e di
tutti, scese in campo a testa alta! Del resto lei era amica, sincera e presente
nella vita dell’erede al trono! Quante lunghe cavalcate … nei boschi adiacenti
al palazzo reale … aveva fatto in compagnia del bel principe Ettore! Principe
di nascita e di cuore; infatti il giovane rampollo di regal casata non aveva
mai disdegnato la vicinanza di quella burrosa fanciulla così poco charmante;
non gli interessava affatto la poca grazia dei lineamenti di quel viso
squadrato, dove trionfava in un tripudio di imbarazzo un “ nasone”, che perfino
Dante avrebbe ripudiato con veemenza!
Ettore
in lei vedeva la risata più spontanea, la compagna di giochi più sincera ed
affidabile … a lui di lei piacevano quei due occhi assai furbi, neri come la
pece … impazziva letteralmente, quando quelle sue mani da pianista,
accarezzavano furtive e vogliose quei soffici ricci, color della carota più
matura. E che dire del sorriso accattivante dell’Ubalda? Ogni qual volta che la
fanciulla sorrideva al mondo, pareva che il sole danzasse succube in un cielo
immaginario di” lietezza “senza fine!
Sicuramente
la nostra amica non era particolarmente accattivante, ma quanti la conoscevano
bene, non potevano che affermare, che la stessa possedeva il segreto della
gentilezza disinteressata di un’anima pura, sempre pronta a prodigarsi per quel
prossimo a lei così tanto caro.
Della
sua giovialità e della sua simpatia innata ne aveva dunque fatto quasi una
sorta di arma letale!
Insomma
l’Ubalda , nonostante il suo scarso glamour, brillava di luce propria e sapeva
davvero fari ben volere ed apprezzare da quanti avevano il privilegio di
ritrovarsi nella sua stessa scia!
Per
lei, diventare la legittima consorte dell’erede al trono non era altro che una
specie di spassosa barzelletta metropolitana; aveva accettato di partecipare a
quella fatal tenzone, solamente per offrire al suo amico Ettore un regalo,
capace di aprigli il cuore e di donargli emozioni senza fine …
E
poi ad essere sinceri, la ragazza non ambiva per nulla a convolare a giuste
nozze, in quanto, essendo l’unica donna in una famiglia tipicamente
patriarcale, aveva il suo gran da fare a tenere a bada l’incontenibile irruenza
di ben undici uomini dalle età più svariate.
Purtroppo
l’Ubalda non aveva mai avuto una madre come faro o come maestra di vita; poiché
mamma Gianna era deceduta dandola alla luce!
I
suoi giorni non erano di certo le tipiche giornate di una fanciulla libera e
sbarazzina, eppure lei era sempre lieta di ciò che il buon Dio le offriva
quotidianamente.
Le
sue ore erano scandite dalle faccende di casa … dai frugali lavoretti nella
piccola falegnameria di papà Giorgio; passando per quei momenti gioiosi in
compagnia degli animaletti di casa. Insomma lei era un fuoco d’artificio,
un’esplosione di vita sempre pronta ad avvolgere in un caldo abbraccio quanti
le volevano bene e facevano parte della sua stessa cerchia!
Ora
lei aveva solo un gravoso problema da risolvere … cosa regalare al principe
Ettore? Decise quindi, senza troppi indugi, di sfruttare la sua vena artistica,
in materia di falegnameria … e così in una tiepida mattina di maggio,
canticchiando un’orecchiabile melodia dell’infanzia, si incamminava felice nel
bosco … in cerca di un pezzo di legno pregiato, per poter così forgiare un
dignitoso flauto per traverso, da poter donare al festeggiato di turno!
E
qui la nostra amica Ubalda, Uby per i più intimi, si trovava immersa in una
realtà surreale, oserei quasi dire un mondo fantastico, dove
l’elemento-natura andava a braccetto, in
sacre nozze, con l’elemento - animale … e nell’aria candida di un giorno
qualunque … si poteva udire melodia, senza tempo, senza storia … di un silenzio
di amorevoli sensi, nell’eterna corrispondenza di quel disegno divino, che
dipingeva – a piedi nudi e mani tremanti-
la tela ancora intonsa dell’animo umano!
Ma
ecco apparire dal nulla la fata SBRODOLINA, che, amica sincera e di lunga data
della ragazzina, si sentiva in obbligo di “topicare” il destino più assurdo,
con quella strana bacchetta a forma di cubano … per compiere un’insolita “
MISSION IMPOSSIBLE” … Aveva deciso, infatti,
poiché Uby non era di certo quel mostro di grazia femminile e di
aristocratica eleganza, di donarle il cosiddetto “ SEME DELLA BELLEZZA”,
affinché avesse una chance in più di far breccia nel focoso cor dell’aitante
principe Ettore Maria Gabriele Fulgenzio Adelmo.
E
così “ PARIPAPU …” eccola trasformarsi in una incredibile “ FEMME FATALE”, con
ogni dettaglio al posto giusto, in un armonioso puzzle di sensualità e di
eroticità, capaci di far perdere la “capa” al santo di turno o al povero
sventurato in preda ai suoi più irrefrenabili pruriti giovanili!
Non
era più la cozza simpatica e ridanciana, che perdendosi nel bosco adiacente
casa, spogliava i suoi pensieri più segreti tra le braccia di quella quercia
secolare! Ora era una donna bella, burrosa e vestita alla moda … in grado di
catturare nella sua rete, fatta di mille tentazioni, anche il BRAD … figlio di
quello squalo dello ZIO SAM!
Ma
Uby, quando si specchiò nelle limpide acque di quel laghetto artificiale,
nobile dimora, dell’ultimo Cigno, tenero amante di Wagner ispirato, si scoprì
per la prima volta nuda ed impaurita, perché percepiva in quella top-
model d’assalto una nemica da abbattere
… la negazione totale del suo IO primordiale!
D’altronde
accettare quella maschera di perfezione voleva anche dire ripudiare a priori
quella giovane madre, che ancora acerba, aveva donato, senza alcuna esitazione,
la sua stessa vita, affinché quel dono, che aveva portato in grembo per ben
nove mesi, venisse alla luce e regalasse al mondo i suoi vagiti migliori!
In
questa maniera, la nostra protagonista, baciando in fronte un’attonita FATA
SBRODOLINA, riottenne le sue sembianze e la sua dignità di DONNA!
Cosa
fece allora la fata, sorpresa e commossa da quell’inaspettato gesto gratuito,
compiuto- a brucia pelo- da una sorprendente donna ancora in erba? Decise in
gran carriera di donarle un bel pezzo di tenero legno, proveniente, pensate
voi, dal sacro abete tanto caro alla progenie celeste.
Così
la nostra intrepida Uby, con le sue sapienti mani e il suo immenso amore, avrebbe di certo potuto confezionare uno
splendido flauto per traverso da donare, nel giorno del suo imminente
genetliaco, al suo tanto adorato amico, principe Ettore.
E
fu in questa maniera, quasi poetica, che
lo stesso disegno prospettato dalla simpatica fata SBRODOLINA, lentamente,
giorno dopo giorno, andava prendendo forma … infatti Ubalda passava intere
giornate e talvolta anche nottate nella falegnameria di famiglia … prigioniera beata della sua voglia di
compiacere il bel principe … intenta a lavorare di scalpello … quel tenero
legno … divino retaggio!
Mai
flauto più bello – dovete credermi- fu realizzato! Una sorta di piccolo
gioiello, capolavoro indiscusso, che alla silenziosa presenza di qualsiasi
occhio umano, ben allenato al cospetto della bellezza allo stato puro … non
poteva che suscitare una strana sensazione di godimento inaspettato, che
profumava di quel non so che di eternità!
Venne
dunque il gran giorno; ma la nostra amica Ubalda non poteva esserne lieta!
Aveva aperto, con caparbietà tipicamente femminile, il suo vecchio armadio di
cedro antico … ma niente di quei suoi quattro cenci, ormai storditi dal tempo e
dall’usura, avrebbe mai potuto essere giusto per il genetliaco di Ettore. Che
tristezza nel cuore di Uby; un velo di malinconia le sporcava quel suo viso
squadrato e paffuto e quei suoi due fondi neri di bottiglia grondavano
all’impazzata di lacrime salate come un mare in tempesta!
Ma
niente paura … a che serve la protezione di una fata? La mitica SBRODOLINA
aveva assistito in religioso mutismo a quanto stava accadendo a casa della sua
figlioccia … e, commossa da si tanta costernazione, decise che non poteva
esimersi dall’intervenire.
E
allora si materializzò d’innanzi alla sua adorata amica e, baciandola sulla
guancia sinistra, pronunciò un mantra miracoloso … va da sé – evviva la
banalità- che in quattro e quattr’otto … Ubalda si ritrovò abbigliata per la
gran soirée danzante: nonostante il suo essere tremendamente anonima 365 giorni
all’anno … in quel frangente, però, appariva bella, come una diva di Hollywood
: capelli impomatati ed impreziositi in uno chignon di gran classe … abito
lungo, di circostanza, rosso cardinale, accompagnato con discrezione da uno
scialle di seta cinese. Il vestito era davvero un meraviglioso spettacolo di
forme e di geometrie perfette: scollato appena appena sul davanti, dove trionfava,
in pompa magna, una splendida collana di perle a doppio giro, resa ancora più
ricca da un cameo lavorato a mano … mentre sul retro campeggiava una profonda
scollatura a v che di certo avrebbe stuzzicato i vogliosi pruriti di quei
ventenni di buona famiglia in cerca di una preda da impallinare ad ogni costo!
A
Palazzo, intanto, la musica da camera
sottolineava, con una grande disinvoltura, quell’impalpabile emozione, che,
ogni rampolla di buona famiglia e ogni gallina di buona creanza, provava dentro
di sé al solo pensiero di diventare una futura testa coronata!
Quelle
cagnette in calore si guardavano, dunque, con sospetto e con il desiderio più
atroce di farsi fuori l’una con l’altra …
del resto – siamo sinceri- a tutte … quelle oche giulive … quell’osso
saporito faceva di certo molto gola!
Piano
piano quella musica soft ed avvolgente andava scemando in un silenzio quasi
irreale … come in una plumbea giornata invernale, ammutolita, a sorpresa, dalla
caduta fortuita di candida neve vestita a festa … Il momento era dunque
topico Sua Grazia il Principe Ettore II
era in procinto di aprire i numerosi cadeaux, giunti a lui da ogni parte del
globo, per mano di speranzose puellae con la bava alla bocca!
Il
giovane principe aveva così ricevuto ogni sorta di ben di Dio: dai tappeti
preziosi agli arazzi da mille e una notte … dalle automobili sportive,
all’ultima moda, agli animali più rari, che la stessa Madre Terra avrebbe mai
potuto lui offrire … dai gioielli più vistosi ad ogni sorta di reggia dimora,
dove poter trascorrere il suo piacevole tempo!
Eppure,
inaspettatamente, l’attonito festeggiato rimase assai colpito da quel flauto di
legno profumato … che lo volle subito
provare a suonare. … Si sentì stranamente felice dentro, come se per la prima
volta, fosse realmente in pace con se stesso! Come se per un istante, avesse
potuto comprendere fino alla sua stessa origine … quell’amore nostrano che,
vestito di semplicità, lo avrebbe fatto
sentire finalmente vivo!
E
fu così che per la prima volta in una favola qualunque … un ricco castellano
scelse come gentil consorte … una ragazza del popolo, assai bruttina ed
irrimediabilmente digiuna da etichetta e da bon ton!
La
nostra amica Uby divenne, dunque, sposa di maggio e la sua vita si divise
equamente tra i suoi mille e mille doveri di corte e la sua consapevolezza di
figlia e di sorella, in quella piccola falegnameria, dove ogni cosa ebbe il suo
naturale inizio … dove ogni cosa, anche la più inimmaginabile, si risolse in un happy end tutto da
ricordare!
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