L’UOMO CHE NON SAPEVA AMARE



Lars in quella tiepida sera di maggio, mentre sfatto si guardava allo specchio, non poteva fare altro che odiarsi profondamente.
Nella sua alquanto sgangherata bacheca d’amorosi sensi perduti; l’ennesima débacle all’orizzonte: incauto trofeo di una caccia assurda primeggiava, affannosamente, nello squallore di un monotono déjà vu!
La sua giovane mente, da assuefatto piccolo borghese di vedute assai ristrette, appariva sempre più boriosa e confusa,vomitando, a tradimento, le mute parole di un’antica poesia, partorita da uno  spirito in delirio:
“ Mi sono venduto ai pensieri più neri//di un giorno senza fine; di una notte depauperata da ogni emozione propria.//Non ho più lacrime che bagnano questo mio cuore arido ed affranto. Morta è ogni emozione dentro di me!//Voglio solo vestirmi di questo silenzio ridondante.//Maledico me con estrema dolcezza, mentre affondo in questo mare di nostalgia negata...//”
Il giovane e sprovveduto Lars più si guardava riflesso in quel ventre di opaca ostilità, più si rendeva certamente conto di quanto la sua stessa anima risultasse sdrucita; di quanta immondizia si nascondesse dietro quel suo volto perso … di Angelo nero.
Difficilmente la sua medesima indole –così glaciale d’innanzi al sentimento altrui- si poteva lasciare sedurre da quella strana voglia improvvisa di un sano e benefico pianto liberatorio.
Ma in quella maledetta circostanza così poco definita ed inattesa, le lacrime, senza alcun pudore, gli vestivano, con una delicata tenerezza, quelle gote d’alabastro!
E così in quel suo piccolo mondo di certezze –fatto di castelli in aria e di subdoli tranelli artificiosi- si annidava beffarda l’ombra oscura di LEI, Rebecca la vogliosa!
Lei, la sua lei,meravigliosa geisha del piacere più avvolgente; lei, infernale tormento di una verità celata, di una verità difficile da sussurrare ai quattro venti!
Lars, pallido come un cencio, era sempre là! Ostinatamente immobile e prigioniero della sua immagine, come fantasma in cerca della sua eternità!
Folle pazzia di indigesti frammenti; susseguirsi disordinato di fastidiosi momenti di blanda serenità, vigliaccamente ancorati in un’anima grondante di una utopica malinconia!
Ricordi indelebili di un letto sfatto nella breve passione di uno sbadiglio, mentre i respiri, che prima si cercavano nell’intrigo benevolo di quella voglia primordiale, andavano lentamente morendo nella penombra di una timida candela, che illuminava quel drappo orientale, che sapeva di zenzero e di vaniglia.
Due corpi sudati, uniti in una musica senza tempo, danzavano increduli in quei brividi di tormento, che si completavano a sorpresa nelle stonature forzate di quella nota fuori posto!
Lei, tenera più che mai, lo prendeva per mano in quel malizioso gioco di sguardi, trascinandolo in quella ragnatela metallica di un teorema votato all’assurdo, umiliandolo con quella leggiadra sciarada di baci convulsi, sperando invano in un semplice “TI AMO”!
E lui, bastardo più che mai, si lasciava accompagnare nella menzogna di quell’isola che non c’era, perché troppa era la paura di risvegliarsi l’indomani in un freddo letto vuoto!
Lars, che sia maledetto lui! Si toccava freneticamente le labbra; quelle stesse labbra che si saziavano, boriose, di fresca ipocrisia: tanti inutili ti amo sempre più simili ad affilati coltelli, pronti a squarciare l’inconsapevole preda di turno, una carcassa di beltà vestita, da mostrare, con gloriosa tracotanza, al mondo intero.
Mentre lei vittima perfetta, creatura predestinata era folle d’amore! E certamente, vogliosa com’era, avrebbe fatto di tutto per lui; perfino venduto la sua acerba essenza al primo Mefisto, che le avesse strizzato l’occhio per una notte di fuochi d’artificio! Affinché il suo tarlo amoroso si potesse concretizzare in un grido assoluto di passione ancestrale, senza limiti;  senza confini!
A lei, infelice ed illusa fino al midollo, non pesavano affatto quei quindici anni di differenza; non le interessavano per niente le risatine dei ben pensanti e le frecciatine velenose di un Lars scostante e maligno.
Lei implorava semplicemente amore; anche un amore di circostanza, uno squallido sentimento di plastica!
E lui, quel barbaro invasore, puttana come appariva, lo sapeva benissimo! E così ci giocava a più non posso! Solo sesso chiedeva; un gioco a due, di perversioni reciproche, dove quell’anima debole e folgorata bramava, con la bava alla bocca, un’esplosione incontrollata di sensi galeotti, in grado di innescare una sciarada estrema di piccole schermaglie, da consumarsi sotto quelle lenzuola di seta nera! Del resto, lo stesso Lars nella sua diabolica indole non era di certo capace di manifestare fino in fondo uno straccio di trasporto emotivo! Era come se quel giovane virgulto vivesse ogni suo amplesso in una sorta di palestra virtuale, dove proprio lui era l’atleta di punta, l’uomo dei record!
E così, in quello specchio di avvolgenti amarezze e di fini trabocchetti, non si materializzava che un infingardo labirinto di ricordi funesti, che andavano lentamente frantumandosi nel sorriso spento di un ragazzotto benestante, automa di se stesso.
Era dunque stata lei la parte tarata dei suoi primi trent’anni! Quell’assurdo complotto di anime perse, che si svestivano della propria moralità, per intraprendere una lunga ed estenuante cavalcata alla conquista del loro vello d’oro!
Quel loro primo e furtivo incontro,forse voluto da un destino beffardo, avveniva in quel giardino fiorito, che costeggiava, in un dolce abbraccio, le antiche mura della stessa chiesa in onore di Santa Barbara. Vivo era il sorriso di lei, vestita a festa, in quell’abito corto a pois blu. Un fiore tra i capelli e quella bionda tra le dita ingioiellate. Lei, gradevole ed appetibile, era seduta su quella panchina di cedro antico, mentre, con civetteria, si apprestava a sistemare quel trucco cascante.
E lui spavaldo, come orrenda fiera in attesa di concupire sua sventurata preda, si avvicinava guardingo e, senza proferir parola, le sfiorava la tremante mano. Le sorrideva ammiccando proposte indecenti, fino a quando era sicuro che quelle fragili barriere di difesa non fossero state pronte a crollare in modo definitivo.
Lars aveva vinto un’altra volta! Come godeva il Bastardo dentro di sé! Quel parassita dell’amore aveva trovato un’altra volta la chiave giusta per scalfire l’ennesimo cuore bisognoso d’amore! E adesso festa! Con una mano impudente le accarezzava la chioma corvina e con quell’altra libera le sbottonava, uno ad uno, quei bottoni di madreperla che impreziosivano quella camicetta bianca in san gallo.
E lei ubriacata, più che mai, da quella freccia di Cupido; dipingeva quella tela ancora vergine! Scivolava lento, ma deciso il velluto della sua giovane mano, che, come in una danza propiziatoria di un popolo lontano, esplorava goduriosa quel possente corpo semi nudo di un Lars trionfante, alla scoperta di una rinascita personale, nell’atrio più segreto di un’ Afrodite ritrovata!
Ricordi brevi, istanti atrofizzati in quelle rugose pieghe di uno specchio mendacio!
Lars era stanco, tremendamente stanco! La sua immagine riflessa lo infastidiva a tal punto da succhiargli  linfa vitale a tradimento!
Era ormai una specie di larva umana, che, per pigrizia e per paura di restare solo con se stesso, si attaccava, con morbosa ossessione, all’amore di lei, sperando in una pesca miracolosa!
Ma proprio quel dannato san Valentino gli era stato fatale! Lei vedeva lui per la prima volta; lei finalmente lo poteva percepire per quello che realmente era. E subito, quei mille e mille castelli, in aria di armoniosa progettualità, andavano sgretolandosi in un doloroso addio, vestito di rimpianti e di verità inconfessabili.
Lui, libero da ogni vincolo e mortificato nella sua vanità, accompagnava, mesto,  lei verso quel treno di libertà! Nessuna parola nell’aria, solamente mani che si stringevano forti e sciami di lacrime impazzite, che scendevano copiose nel silenzio di una colossale sconfitta, che sanciva di fatto la fine di una farsa lunga una stagione.
Lars, sfinito e vinto, si allontanava da quello specchio maledetto, e girandosi, di scatto, verso il suo sécretaire, secondo impero, si versava un cognac d’annata, premio consolatorio di un addio malinconico. All’improvviso, il ragazzotto vizioso afferrava un pesante posacenere in pietra e, con una grande veemenza, lo scagliava contro quel vetro profetico. Biancaneve aveva avuto un’altra volta ragione! Si lasciò cadere a terra come un peso morto e si raggomitolò nell’angolo più buio di quella stanza opprimente, proprio come era solito fare da bambino, per sfuggire i tuoni e i lampi.
Una macchia di sangue, lentamente, andava sfumando mesta su quelle quattro pareti bianche di una gabbia senza uscita. Forse l’Angelo della Morte, di lì a poco, avrebbe fatto la sua comparsa!



 LA SUOCERA SUL TETTO
       .

Artemio Sbroia era un sano contadino della Bassa Bergamasca, sicuramente un gran lavoratore ed un ottimo padre di famiglia.
Ogni mattina la sua sveglia suonava alle quattro e dieci e lui, rispettando il copione di una vita, dopo essersi lavato la faccia con acqua fredda e sapone di marsiglia, correva entusiasta nella stalla di fortuna per mungere –a tempo di valzer- la sua adorata Bianchina…
E quando il rito era stato portato a termine il nostro Sbroia era solito regalare una preghiera e un saluto alla Vergine…per poi cavalcare il suo trattore vecchio modello e andare alla scoperta del suo piccolo mondo, fatto di verde, di sole e di quelle tante certezze che lo rendevano la persona più prevedibile di questo mondo!
Lui, l’Artemio, abitava in un cascinale tanto dozzinale quanto  fatiscente in compagnia della moglie Teresina Villanzoni e delle due figlie…la Mafalda, Maffy per i pochi intimi, … e la Carlina.
Ma un destino crudele aveva voluto che sotto il suo stesso tetto abitasse pure la sciura Bettina Chiappetti, la frizzante madre novantenne della Teresina…E proprio la suocera dell’Artemio quella domenica tre marzo si rese assoluta protagonista di un’insolita barzelletta paesana…
L’Artemio stava dunque tornando a casa sulla sua” limousine” poiché si era fatto all’improvviso buio…e fischiettando, come uno scolaretto, lieto in cuor suo, pregustava quel piatto di riso e rape che lo attendeva fumante sul tavolo della cucina…
Purtroppo i suoi desideri furono turbati proprio sul più bello…quando vide all’ingresso del suo cascinale una folla senza precedenti per quella piccola comunità rurale: giornalisti, il prete e perfino Bepi il becchino!
Ma la cosa più scioccante era la presenza dei carabinieri, della forestale, dei pompieri e di due autoambulanze …mancava l’esercito e tutto era pronto per il peggio!
L’Artemio era sbigottito, fermò la “ Limousine” …pensava ad un furto…l’unica cosa veramente importante per lui era senza ombra di dubbio la sua adorata Bianchina…Poi ebbe un sussulto “Forse che la sciura Bettina l’era stada rapida?”
L’idea che qualcuno l’avesse potuto finalmente liberare di quell’ingombrante “Matrona” lo stuzzicava a tal punto da fargli tornare di nuovo quella pazza voglia di intimità con la Teresina…del resto era ormai da parecchio tempo che non l’aveva più veduta come Dio l’aveva fatta!
…E magari perché no! Ci sarebbe potuto anche scappare il tanto agognato erede maschio..
Ma i sogni di gloria del Casanova della Bassa Bergamasca furono brutalmente infranti dall’arrivo della Maffy.( La Maffy era conosciuta in zona con l’infausto appellativo di “ VESUVIO” a causa di tutti quei grossi crateri che prendevano forma su quel ghigno tozzo ed indelicato.
I suoi diciotto anni erano distribuiti in un metro e cinquanta di altezza per cento chili di grasse frustrazioni…si faceva prima a saltarla piuttosto che a girarle intorno!
Ora era single – come lo Zio Sam insegna- o zitella per i nostalgici del bel parlato…ma fino a tre mesi prima era la devota compagna di Felicino Paoloni il figlio del macellaio…ma una questione di logistica della stessa coppia li aveva separati per sempre…Anche se le malelingue del paese andavano dicendo in giro che il vero motivo di questa débacle era da attribuirsi completamente alla povera Maffy…Sembrerebbe infatti che la sventurata, durante un amorevole valzer a due, avesse – nella foga della passione- compromesso la gabbia toracica del Felicino…)
La ragazza infatti si avvicinò al padre sussurrandogli all’orecchio delle frasi sconvolgenti. L’uomo impallidì all’istante ed alzando lo sguardo basito al cielo borbottò:
“ Ma che t’ho fatto Bettina…perché ce l’hai con me ?…”
Eh sì ! la sciura Chiappetti era la star del giorno…ora si trovava sul tetto della casa in camicia da notte di pizzo nero…cappello da mondina e sciarpa della DEA al collo…al petto stringeva una vecchia valigia di cartone…
Tutto era nato perché quel giorno Mike Bongiorno le aveva dato buca…la sua televendita preferita quella del prosciutto era stata tagliata per dare spazio al faccione sornione dell’impavido Emilio …e lei non ci stava! 
Così sconfitta a malincuore aveva cambiato programma…l’avesse mai fatto! Sul suo schermo apparve lui …il Duce, fulgido nella sua uniforme di gran gala, e lei d’improvviso si era riscoperta giovane e spensierata! E proprio le note di Giovinezza l’avevano indotta a salire su quel tetto in segno di protesta …Nessuno purtroppo era riuscito a farla desistere dal suo folle disegno…neppure il buon  Pozzan della Vita in Diretta…Aveva persino preso parte a quella delicata situazione …tentando di raggiungere la vecchina sul tetto…l’accattivante Don Aristide Mombelli , aitante curato campanaro… 40 anni e non sentirli!…
Ma a metà del suo percorso era stato costretto a rinunciare all’impresa a causa della sequela di ingiurie che l’inerme donnina aveva fatto uscire da quella sua dolce boccuccia non del tutto vergine…
La sciura Bettina era là in quel contesto alquanto grottesco perché a suo dire era stato Benito stesso a chiamarla…lei non doveva fare altro che aspettare quell’aereo tedesco  che l’avrebbe prelevata e condotta sulla via della salvezza…sarebbe giunta in un luogo magico dove si sarebbe potuta ricongiungere con il suo amato Gino …Il Gino per dovere di cronaca non era mai tornato dalla Grecia e nessuno seppe mai più nulla di lui!
L’arzilla vecchietta non aveva per nulla intenzione di scendere da quel tetto…lei era certa in cuor suo che l’aereo sarebbe arrivato….del resto lo aveva anche detto Giorgino che lo sciopero dei voli era stato revocato! E per lei Checco nazionale era istituzione allo stato puro! Tanto è vero che nel momento in cui il giornalista fu allontanato dal piccolo schermo …lei entrò in una tremenda fase di depressione…perché la sola idea di non cenare con lui a lume di candela la faceva uscire pazza…
Mentre fuori si stava scatenando l’inferno; l’insensibile Teresina, pasticciando in cucina, sperava di trovare il pacco da 500.000 euro e di andare il più lontano possibile dal marito e dalle figlie.
La folla sotto quel tetto aumentava a vista d’occhio …Forse gli avvoltoi pensavano che l’indomani sarebbero finiti da Bruno Vespa e magari perché no…una fiction da protagonisti!
Ma alle 20.30 di quel fatidico 3 marzo avvenne il miracolo…dal tetto incriminato volò la valigia di nonna Bettina…una pioggia di mutandoni di lana;calzettoni; foto del Gino in divisa da aviatore; un vecchio disco di “Giovinezza” e l’immancabile busto del “buon “ Benito …
E così dieci minuti dopo la vecchina era planata sul mastodontico  materasso di quei pompieri allibiti.
Senza dare alcuna spiegazione entrò in casa…e con una non curanza degna di una diva delle più consumate si accomodò sulla poltrona di velluto verde del povero Artemio …isolandosi dal mondo.
Aveva completamente dimenticato che proprio quella domenica sarebbe andata in onda l’ultima ed imperdibile puntata di “ Orgoglio”…e lei non poteva mancare! Doveva sapere se la Marchesa avrebbe consumato con il contadino…
Niente paura l’aereo mandato dal Duce sarebbe ritornato l’indomani…Fuori c’era un po’ di foschia!










LA SVOLTA DI BARBARA

 Barbara Persiani era una sciocca ragazzina di provincia. Frequentava il liceo classico non per merito o perché possedesse una sorta di cervello fruttuoso, capace di portare a termine, con grande onore, una simile impresa … ma per casta! Lei era l’improbabile figlia del leggendario notaio Guido Persiani, omuncolo avido e gran porco di professione. Un nome … una garanzia per quel piccolo ed inutile paesello di provincia, falso ed ipocrita per conclamata necessità!
Sprovvista di morale propria e di ingegno umano, la poverina … cretina per innata vocazione … campava a sopravvivere glorificandosi con il mondo intero per quel suo corpo da pin-up e per quella sua fisicità tanto discutibile che avrebbe fatto uscir pazzo un casereccio Michelangelo da due soldi dei nostri giorni.
Alta, slanciata … le provocanti forme al posto giusto, armonizzate ben distribuite nei punti strategici e decisamente al posto giusto … in uno spettacolo di piacevole idillio, che suscitava così i più bassi istinti animaleschi di chiunque per sfiga sua si trovasse al suo gentil cospetto.
Nel piccolo borgo medioevale lei era conosciuta come una leggiadra farfalla che non disdegnava affatto passare con facile disinvoltura da un fiore all’altro!
Quanta gioia e quanta beneficienza aveva dunque elargito con una assai gravosa presunzione di sé!
La sua giornata tipo … a parte parcheggiarsi cinque ore dietro un banco di facciata, la mattina … consisteva nell’autocelebrazione del suo ego smisurato, nella venerazione estrema di quella sua paciosa femminilità disarmante ed ammiccante allo stesso tempo. Il pomeriggio cherie trascorreva tre noiosissime ore in una palestra super lusso per modellare cosce e glutei, affinché quella sua carne così soda e accattivante non provasse la vergogna di un tragico e inevitabile declino nella valle della mediocrità!
Immancabile nel carnet della Barbara il the delle cinque rigorosamente sorseggiato nella caffetteria più in di quel piccolo paesello di stolte creature allo sbando. Naturalmente come una vip che si rispetti … lei non compariva mai sola sul luogo del delitto! Se Giorgio aveva da fare, Carlo il ganzo era già pronto a far da cavalier servente … e poi c’erano Gianni, Michele … Piero e all’occorrenza l’esercito della salvezza!
Chiunque partecipasse alla sacralità delle cinque si vedeva poi obbligato ad accompagnare la figlia del notaio Persiani nella via centrale di quel covo di vipere invidiose; cosicché la medesima fanciulla, gongolante del suo essere falsamente donna, potesse mostrare ai comuni mortali quanto di buono la natura le aveva elargito!
Per Barbarella il tempo andava incalzando e quindi, dopo aver concesso lo straordinario onore di una sua indimenticabile passerella e dopo aver stuzzicato i pruriti di quei quattro cafoni arricchiti, tornava beatamente sorniona nel suo caldo nido.
La dimora Persiani più che una casa non era altro che un grande e lussuoso albergo cinque stelle: gente che entrava; gente che usciva ad ogni ora del giorno.
Qui in queste mura di amorale perdizione, la ragazzina si faceva quattro salti in padella e poi come la Marylin dei Poveri subito in bagno, pronta per il restauro! La nottata era tutta sua!
Alle venti e trenta minuto più minuto meno, una cabriolet grigio metallizzato l’aspettava con estrema devozione nell’angolo più buio della via, lontana da occhi indiscreti e domande alquanto imbarazzanti e ridondanti!
E lei, la regina della notte, come una cenerentola senza orologio, alle quattro del mattino, annunciava il suo rientro, scendendo da un fuoristrada giallo titty e cantando a squarciagola una “tenera melodia” dedicata al buon e vecchio dio Bacco!
Barbarella era solita, come da copione, al sabato … disdegnare l’impegno scolastico, poiché urgeva l’irrinunciabile appuntamento con Fabrice, il coiffeur … amico e confidente. E sia mai, crollasse il mondo, che un sabato lei potesse rinunciare a questa goduriosa necessità!
I suoi capelli erano una priorità a prescindere, era vitale per lei trascorrere il sabato al salone di bellezza: la sua chioma doveva passare ad ogni costo da quel biondo paglierino, oramai demodé, a quel rosso acceso … da professionista titolare indiscussa di quel palo 17!
Generalmente il week-end era per la giovane Persiani l’occasione migliore per frequentare quella beauty farm all’ultimo grido … ma soprattutto l’occasione più ghiotta per sedurre – in incognito- l’ultimo sventurato di turno!
Eh sì! Avere una relazione stabile e sicura con la dolce Barbarella significava non solo assicurarsi un piccolo crack finanziario; ma principalmente mettere in preventivo l’acquisto certo di un pacchetto completo di sedute terapeutiche presso un buon psicoterapeuta, nella speranza più rosea di aver quel colpo di sedere per ritrovar se stessi!
Accadeva in una fredda notte di dicembre … mentre la nostra Barbarella, rintanata sotto quel piumone di oca giuliva, guardava un film col bel Di Caprio … all’improvviso la svolta! Una scritta piccola … piccola scorreva frettolosa ed intrigante su quello schermo piatto ultimo modello. Si cercavano infatti nuovi talenti per una serie televisiva; era gradito un bel personalino!
Così l’indomani, zaino di Prada in spalla, tra le mani una fetta di pane con la nutella … la nostra piccola eroina era seduta su quel pullman di terzo livello: direzione capitale!
La noia più nera sembrava accarezzare quel viaggio interminabile. Ma in una stazione, dimenticata da Dio, lo sguardo seducente di quella Bovary nostrana, scrutando oltre quel finestrino sporco di cacca di uccello, incrociava sguardo malinconico di giovane ragazzo trasandato.
Com’era diverso quel seducente vagabondo! Capelli corvini, lunghi … portati ribelli fin su quelle due spalle ben messe … occhi verdi come lo smeraldo più puro, tristi, dannatamente tristi. Vicino a lui una vecchia chitarra malconcia: non era certo uno di quei soliti viziati figli di papà ai quali lei stessa si era concessa a cuor leggero!
Il pullman si fermò come per magia e Barbarella, per la prima volta, agì dunque d’istinto … non pensando al suo proprio tornaconto … MIRACOLO! Raccolse il suo zainetto di Prada e senza pensarci corse incontro al vero amore!
Nel piccolo e stonato borgo di plastica nessuno la vide più! E quei pochi che giurarono di averla incontrata … dicevano di averla veduta in giro per l’Europa, nelle piazze delle più importanti capitali: il pallido cavaliere servente suonava con quella chitarra sgangherata melodie di cuore e lei leggiadra, come l’ultima étoile, danzava sulle ali di una ritrovata felicità, finalmente libera di essere realmente se stessa!

LA MELODIA DI SYBILLE


La vita scorreva lieta in quella piccola cittadina di provincia, dove ogni cosa sembrava priva di volgarità, dove ogni sentimento umano si proiettava dunque in modo benevolo e creava una sorta di primavera sensoriale …
E lei la giovane studentessa appena diplomata al conservatorio si apprestava in quella calda domenica di fine luglio a lasciare quel nido d’ovatta, che l’aveva fino quel giorno garbatamente svezzata.
Dopo aver raccolto i pochi brandelli di una vita piatta si incamminò di buon grado, con passo celere,  verso la stazione … felice in cuor suo, come una giovane mente ardimentosa d’apprendere i segreti velati del buon vivere … e non voltandosi più indietro salì sul treno, anche se in un dolce istante di tenera commozione … le scese furtivamente su quel viso ambrato una lacrima, mentre il suo nido piano piano scompariva nel nulla. E con esso se ne andavano così i rancori e i fantasmi di un passato ancora troppo recente!
La ragazza, con la fantasia di un poeta ancora in erba, cercava, con fatica, nella sua testa ancora alquanto scossa da quegli eventi … che si susseguivano incalzandola, risposte certe sul suo domani!
Amore veritiero, cercava invano! Non era certamente brutta la ragazzina di provincia, eppure Afrodite … capricciosa per natura … l’aveva sempre punita con passioncelle futili ed erronee, che attimo dopo attimo, l’avevano – ahimé- catapultata in tetri labirinti di lacrime e di ostilità.
All’improvviso, come in una favola di genere che si rispetti, ecco, dunque, un’inaspettata magia, piovuta da un cielo assai benevolo e prolifico di bontà! Apparve dal nulla giovane presenza fulgida nella sua uniforme di gran gala … con passo celere e sicuro … catalizzava su di sé … sguardo voglioso di giovane donna, assettata di sentimento sincero.
Nessuna parola di cortesia ci fu nell’aria! Solamente un intrigante ed intenso gioco di pura e sana perversione di sguardi e di intese reciproche … come se quelle due creature angeliche fossero per fato e cospirazione divina obbligate all’incontro !
E quando quel treno -di una felicità a portata di mano – si arrestava dolcemente e quel giovane uomo vestito di gloria propria apriva lo sportello,  in quella calda sera di mezza estate; la fanciulla, nel suo pieno turbinio di emozioni in esplosione di divenire, raccolse la sua  piccola storia, seguendo quindi il suo cuore innamorato.
Camminava … camminava contenta, come quel fragile pargolo in cerca d’affettuoso seno materno … certa in anima sua di trovare quella sincera risposta, che l’avrebbe realmente fatta sentire donna … vera e finita!
Il ragazzo entrò quatto quatto in un grande parco, vegliato con cortesia d’intento da quel muto leone alato, posto al centro di quell’idilliaca scena d’autor … e proseguì, con il suo fiero incedere, degno della parata meglio riuscita, lungo quel viale di cipressi secolari … fino a quando si trovò d’innanzi ad un’antica porta dall’austero aspetto, che conduceva nel castello della sua tragica infanzia.
E lei …  meravigliosamente Sybille, fremente e sempre più coinvolta da quel fitto mistero d’amore, aveva assistito impassibile ad ogni focoso passo di quel pallido milite!
Senza riflettere e senza porsi alcun quesito di genere; decise di aprire senza indugio la porta di quel desiderio suo più intimo. E come moderna Arianna sfidò con immaginario filo quel suo gaudioso labirinto …
La sua andatura risultava tarda e lenta, ma nonostante ciò il suo piccolo cuore estasiato pulsava all’impazzata, come se dovesse da un momento all’altro scoppiare di cotanta contentezza!
Salì una scala a chiocciola, ritrovando finalmente davanti a sé quel suo pallido eroe d’altro tempo … e i suoi pensieri, che fino a quel giorno erano sempre stati puri, si fecero sorprendentemente torbidi ed incontrollabili!
Gli occhi cerulei di lei lo incalzavano senza pietà … come quel leggero venticello, amico sincero di un Shelley, fine poeta. Mentre lui, l’Alessandro … gran condottiero dei giorni nostri … avanzava timido su quella scacchiera immaginaria.
E quando fu al cospetto della sua gentil Fedra … accarezzò con quelle sue forti e vogliose mani i folti e biondi capelli di lei, mentre le ore … i minuti ed i secondi – come antichi amoretti dispettosi – trascorrevano furtivi e malandrini permettendo loro, teneri amanti in estasi di sensi, di giocare con la loro spiccata sensualità!
Lui con una mano tremante d’emozione le andava sbottonando quella bianca camicetta d’organza e con l’altra si occupava garbatamente di quel tenero e giovane seno … mentre lei per la prima volta ammetteva a sé stessa di sentirsi finalmente donna!
E quando i due si sentirono improvvisamente nudi, come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, si rifugiarono sotto morbide lenzuola di seta nera.
La notte si disperse quindi in una assai piacevole melodia di cherubini gioiosi, che, in un girotondo sfrenato d’ilarità, gridavano al modo la possibilità  di credere  ancora all’amore.
Il sole, l’indomani, danzò puntuale in quella stanza del piacere … baciando in fronte l’ignara Sybille … lui non c’era più!
La guerra, maledetta guerra, lo aveva rapito in una follia sconclusionata … e lei stordita si accasciava su quella vecchia poltrona di velluto verde.
I giorni passavano tiranni e del giovane solo meravigliosi e sfocati ricordi in un costante fermo immagine … e nell’aria cupa vagava mesta quella canzone oramai nostalgica!
Sybille, fedele come Argo nei confronti del suo amato Odisseo, si consumava in un pianto ininterrotto … come se fosse mesta candela in una notte dannatamente buia … dietro a quella finestra dalle tende strappate da un lancinante dolore senza fine …
E alla fine seppe!
“come burrasca benevola
Il peso del passato … l’avvolse
E lei tremava in quelle dolci lenzuola di seta nera
Viaggiava incalzando la sua giovane fantasia repressa
Come Didone splendida
Negli inferni danteschi …
Dove sei? Cosa fai?
E all’improvviso nefasto presagio di una morte annunciata
Macchia di sangue apparve!
Quel ragazzo dal volto triste
Fulgido in quella sua uniforme di prestigio
Giaceva sul freddo suolo
In terra straniera
Come un vecchio albero stanco
Del proprio vivere …
Lacrime solo lacrime
Offriva quel viso di donna
La dea Guerra aveva dunque
Un’ altra giovane vittima
Sedotto ed abbandonato!”

LA CANZONE DI SABINE

 Sabine era al settimo cielo …ancora dieci giorni e sarebbe diventata la blasonata signora Von Schlagen.
Alla soglia dei trent’anni poteva ritenersi davvero molto fortunata: una brillante carriera come modella, il suo adorato Hagen… giovane e rampante avvocato divorzista di nobili natali… e l’amore incondizionato di quel suo cocker spaniel, Cesar…
Che altro volere dalla vita? Forse…anzi sicuramente …il poter stringere al suo seno un angelo biondo da educare e preparare alle intemperie della vita.
L’amore per il suo Hagen era nato due anni prima in un modo quasi imbarazzante, durante un evento mondano al quale la ragazza doveva fare da madrina …e proprio qui accadde il delizioso imprevisto che avrebbe dunque fatto da start up alla loro meravigliosa storia d’amore…
Infatti mentre Sabine stava svelando le misteriose fattezze della statua ricoperta da quel tessuto di velluto dorato,una spallina un po’ troppo libertina del suo vestito fiorito si ruppe come per magia benevola e dallo stesso abito scivolò fuori…incautamente… il suo tenero seno, regalando momenti di grande ilarità ed imbarazzo generale…al pubblico presente, soprattutto a quello maschile.
E a questo punto l’impavido Hagen Von Schlagen percependo a pelle l’imbarazzo della giovane donna…si alzò in piedi e raggiunta la pallida vestale in evidente stato confusionale …la coprì con tenerezza offrendole la sua giacca di gala.
Da quel momento i due giovani divennero una cosa sola…e non importava che la ragazza non fosse di nobile stirpe…a nessuno doveva interessare che Sabine era di umili origini, il padre un modesto imbianchino e la madre una donna di servizio presso un facoltoso notaio…
La cosa importante era che la stessa ragazza per amore del suo uomo aveva deciso di sua sponte di riprendere gli studi di filosofia, sempre tenendo conto dei suoi innumerevoli impegni di modella in giro per il mondo.
E non contenta di ciò, Sabine si era messa anche d’ingegno per apprendere in breve tempo tutte quelle innumerevoli regole di bon ton che la blasonata posizione sociale di Hagen le imponeva di conoscere a mena dito…del resto l’aristocrazia non faceva sconti a nessuno!
Quindi con quella sua caparbietà che la contraddistingueva vi era riuscita in modo impeccabile, diventando così la musa ispiratrice dei salotti dabbene.
Oramai i giochi erano fatti …la villa sulla collina era quasi pronta, il viaggio di nozze stabilito …ed ogni più piccolo dettaglio dell’imminente sontuosa cerimonia non era stato lasciato al caso!
Si poteva dire a pieno titolo che ogni cosa collimava alla perfezione come gli ingranaggi del più complicato orologio svizzero!
Eppure ahimè qualcosa nell’aria stava cambiando…lo si sentiva a pelle, anche le gambe cominciavano a fare giacomo giacomo! Grossi nuvoloni neri come esuli pensieri di morte stavano minacciando con ferocia una forte tempesta sulla vita dei due futuri sposi! E senza pietà stavano annunciando un finale al cardiopalma, un finale che avrebbe lasciato tutti a bocca aperta…
Ebbene sì … il giovane Hagen a pochi giorni dal fatidico giorno non era più lui! Aveva smesso senza motivo di frequentare la palestra…disertava senza alcun perché il suo adorato lavoro ed ogni impegno sociale presente sulla sua fitta agenda.
Era divenuto apatico ed ogni cosa che lo circondava non gli dava più stimolo, non gli regalava alcuna emozione….anzi lo infastidiva e lo torturava a tal punto da doversi rifugiare nei piaceri di Bacco e nella vigliaccheria di quella maledetta polvere bianca.
Della sua bellezza di dandy romantico non era rimasto più nulla! Al suo posto un vecchio giovane dal volto scavato e dalle mani tremanti.
Perfino la sua amata Sabine era diventata per lui una sorta di zavorra da cui liberarsi al più presto, un peso orripilante da gettare al più presto nel buio della valle dell’oblio!
Non riusciva più a guardarla negli occhi …non poteva più accarezzarle quelle gote d’alabastro…quel suo profumo di primule a primavera gli dava la nausea …tutto di lei gli faceva schifo! Figuriamoci il sesso…una punizione da evitare a tutti costi!
Per non soccombere in modo definitivo nella frustrante rabbia della propria impotenza, Hagen era sceso dal treno della vita e si era definitivamente raggomitolato in quella sua opprimente scatola di dubbi e di paure, fuggendo a torto la verità di sé e lasciando nell’angoscia più profonda la povera e sconcertata Sabine…la quale non riusciva a comprendere il motivo per cui proprio il suo più grande sogno stava andando alla deriva.
La ragazza infatti era come se si fosse svegliata da un incubo…intontita…quasi drogata dagli eventi stessi…sembrava quasi che la terra le si assottigliasse sotto i piedi.
Non riusciva bene a comprendere la ragione più intima di quella improvvisa ed inaspettata sciarada…
E fu così che la sventurata prese il coraggio a due mani di recarsi nell’appartamento del suo ex…voleva a tutti costi sbattere la testa contro quel possente muro di menzogne e di verità!
Appena Sabine aprì la porta di quell’appartamento rimase sconvolta da quanto le si presentava davanti a quei suoi occhi increduli…un’accozzaglia di rifiuti biodegradabili e non erano sparsi senza ritegno su tutta quanta la superficie emanando un puzzo indescrivibile …un fetore allucinante che torturava senza pietà il respiro della donna che si faceva sempre più difficile…povera creatura! Si sentiva come un pesce fuor d’acqua …un fantasma tra le macerie di un declino umano.
La ragazza tremante si fece dunque forza e cominciò a farsi largo tra l’acre odore ed il pattume accumulato… si fermò solamente nel momento in cui, alzato il capo di scatto, riconobbe la sciagura! Dal soffitto pendeva il corpo inanimato di quel principe del foro…suo grande ed unico amore!
Sabine si accasciò tenendosi prontamente attaccata alla vecchia poltrona di stoffa verde che ornava il salotto di quella camera mortuaria…
Il cuore le batteva all’impazzata e quelle mille lacrime di un dolore lancinante non smettevano più di bagnarle il suo sguardo assente, ormai perso nella malinconia più nera!
Perché l’insensatezza di tale gesto?…una busta gialla…una sola cruda verità!
“caro amore mio…ti ho voluto bene …un mondo di bene…credimi! ma forse la mia affezione nei tuoi riguardi era più fraterna che passionale! E non per colpa tua! Del resto mia dolce Sabine provare un sentimento di trasporto nei tuoi confronti è facile…oserei dire quasi naturale.
La tua bontà d’animo, la tua gentilezza verso l’altro conquistano a prima vista …ed io-bambino dentro- fragile e confuso mi sono rintanato nella certezza del tuo amore ovattato…così puro e gratuito…che egoista ho preso tutto da te e non ti ho dato nulla di me! Che bastardo! Dentro di me ho sempre saputo la verità…quel tormento del mio segreto più intimo!
Ti ho chiesto in sposa per reprimere la mia vera natura…per nascondere a me stesso e soprattutto agli altri la mia indole…la mia veritiera inclinazione sessuale…
Ti ho usata in modo squallido facendoti terra bruciata intorno costruendoti inutili castelli di sabbia…
E non mi sono reso conto di averti rinchiusa in una gabbia di menzogne e di consuetudini…e adesso che ti consegno di nuovo la tua libertà ….mi sento un fallito…un miserabile…un vigliacco!
Mi tolgo la vita perché non posso più restare qui…ho detto a Rudolph del mio trasporto nei suoi riguardi…e lui mi ha guardato con sufficienza …ridendomi in faccia.
Non contento di ciò mi ha massacrato via computer rendendomi l’ultimo giullare di corte…la vittima ideale per la gogna mediatica!
Basta! Non ce la faccio più! Voglio solo sparire nell’oblio di una notte eterna e risvegliarmi tra le braccia vogliose di un salvifico MORFEO!…
Perdonami!
Ti bacio…un arrivederci
Tuo per sempre Hagen

La ragazza sconvolta uscì da quell’appartamento chiudendo dietro di sé la porta di quella realtà inconfessabile 
Per la prima volta nella sua breve esistenza Sabine aveva subito una clamorosa sconfitta … il destino aveva così segnato un punto a suo favore!

chiudere gli occhi
raggomitolato
nell’angolo più buio
di un’anima sdrucita

vomitare senza ritegno
quell’assordante
MALINCONIA
perché dentro di te
ti scopri più bastardo che mai

prendere la rincorsa
per diventare
il vero sicario
di te stesso…

mi spezzo
silenziosamente
contro quel muro
di gratuite meschinità
che ostruiscono
il ricordo sbiadito
di un volo di gabbiano
nelle avvolgenti braccia
di Eolo innamorato
indosso
a tradimento
quella maledetta maschera
di CONSUETUDINE
che mi opprime…
e
il respiro
si fa sempre più
EVANESCENTE
….
STUPIDA ILLUSIONE!
mi fingo a più riprese
gioioso
nel vomitare
istante dopo istante
questa mia vita
che non
mi appartiene
per poi
la sera
delle mille verità
guardarmi dentro
e riscoprirmi
BASTARDO
più che mai!



Quando quella candida veste … di sangue si macchiò
L’ultimo acuto di quel cigno ballerino


Ricordo ancora, emozionato e stupito, quel piccolo angolo di Paradiso perduto, fedele ostaggio di quell’ultimo drago, che nessun cavaliere di buona volontà era riuscito mai a domare fino in fondo!
Un minuscolo fazzoletto di terra profumata; una poesia di prati in fiore, che celava dolce amoreggiar di venticello assai galante; mentre quegli alberi secolari, toccando il cielo con un dito, cullavano quei teneri amori tra ingenui adolescenti, ancora lindi nell’animo in tormento … e così andava lentamente trionfando la melodia, senza tempo e senza storia, di quel laghetto cristallino, dimora di quel cigno ballerino … animale regale, dal vestito candido come la neve, che ogni notte – al chiaro di luna- conversando con l’ultimo angelo caduto sulla terra, danzava sulle note della sua stessa felicità!
E poi … in quella triste mattinata di un novembre galeotto, dove la nebbia, fitta e meschina, avvolgeva, con veemente prepotenza, ogni cosa che le si presentava addosso … si dipanò malinconica verità : macchia di sangue sporcava acqua cristallina e dolce carcassa di un danzatore, caduto ormai in disgrazia, galleggiava fredda ed inerme stroncata dalla sua fragile dolcezza!
Così, all’improvviso in un battito d’ala, in quel novembre tristemente cupo per nostalgia di eventi … speculare sciagura di umana sofferenza andava piano piano manifestandosi all’unisono … là, in quella nera prigione dalle pareti asfissianti, stretta in quella morsa di apatico silenzio di una grigia combriccola di fabbriche fumanti!
Maledetta scatola, senza via d’uscita, opprimente trappola per topi da esperimento, uccideva istante dopo istante flebile respiro di fanciulla mortificata dalla stessa sua vita.
In una stanza buia e spoglia di ricordi, dolcemente accoccolata su di quel letto sfatto di rose appassite, giaceva, muto ed in eterna solitudine di intento, fragile corpo di donna violata!
Bella più che mai, come la Fedra migliore di ogni tempo fecondo … baciata in fronte da quello stesso Racine innamorato … gioia furtiva di occhi sognanti!
Aveva soffici capelli corvini, raccolti, con garbata gentilezza, in quella treccia dal sapore antico; aveva occhi grandi e profondi … di cielo vestito a primavera, che in un incubo senza fine erano sbarrati d’innanzi al nulla di una verità nascosta ed imploravano invano una pietà inascoltata.
E che dire della sua acerba pelle d’avorio che odorava di bosco … e brillava in saette di luce, risplendendo al nuovo giorno, che mestamente si materializzava al cospetto di quella umana cattiveria difficile da sradicare … era avvolta, con garbata dolcezza, in quell’abito di chiffon giallo, che le lasciava scoperte, in una meravigliosa poesia d’altro tempo, quelle tenere parti di femminilità repressa per ingenua timidezza.
Ma attorno a quel corpo dalle geometrie perfette, come lucciole in festoso corteo estivo, scivolava perfido sciame di piccole pillole letali, retaggio indiscusso di una voglia pazza di farla finita … di una voglia pazza di gettarsi, senza mai voltarsi in dietro, in quel sottile baratro, che l’avrebbe di certo condotta nella valle dell’oblio, nel paese dei balocchi … dove forse per la prima volta si sarebbe potuta finalmente sentire viva!
Se mi fermo a pensare ai perché della vita – credetemi sulla parola- sento brividi di un dolore atroce e mi piego, ormai spezzato, a quella malinconica memoria di un ricordo crudo ed insopportabile!
Chiudo dunque gli occhi, gonfi di lacrime incredule, in una sorta di forzata compostezza e mi accorgo di vedere lei, in tutto il suo splendore … soccombere ingiustamente  tra le forti ed ingannevoli braccia di quell’ultima belva, con l’abito della domenica, che, in preda ai suoi pruriti più subdoli e ai suoi istinti più bassi, si ciba, con la bava alla bocca di quella verginità violata!
La ragazza non avrebbe mai immaginato che quel lecito rifiuto di un ballo proibito, in riva ad un mare immaginario, in una notte falsamente propizia, nel caldo abbraccio di un’estate incalzante; avrebbe così potuto determinare quella causa scatenante, che l’avrebbe poi condotta tra le impalpabili ed avvolgenti braccia del buon Morfeo, perfetto spettatore!
… Era dunque lei, la fanciulla dalla lucente chioma corvina, sistemata con garbo in un elegante chignon dal profumo di fiaba d’altro tempo!
Era dunque lei, la giovane Venere sognante dall’essenza meravigliosa di quella fresca pelle d’avorio luminoso!
Com’era bella, tremendamente  bella, quel nefasto quindici Luglio … nel giorno felice di quel genetliaco: sedici splendidi anni in speranza di un futuro a lei ameno.
Elegante, come Musa fortemente cercata da acerbo pittore in erba, desideroso di ispirazione ad ogni costo, si mostrava … lieta in quel suo piccolo cor, che batteva all’impazzata.
Apparve così, come gentil nuvola di seta bianca abbigliata, in quell’immenso salone delle feste, brulicante di giovani aitanti ansiosi, in testa loro, di danzare quel primo valzer di felicità.
Ma lei … il suo principe azzurro lo aveva già – di grazia- incontrato:  bello e splendente in quella sua uniforme di gala; perché lui non era altro che speranzoso cadetto di una prestigiosa scuola militare.
Anche, se in verità, i due giovani si frequentavano ormai da tempi non sospetti, da quella loro tenera infanzia di ovatta e di zucchero filato!
Fin da piccoli, infatti, i due bimbi, alla scoperta del loro mondo circostante, avevano respirato la medesima aria; avevano calpestato gli stessi prati verdi.
Questo all’occhio altrui poteva quindi apparire come una specie di amore” geniale”, un amore spavaldo … avvolgente come il sole! Un sentimento “ burroso” che era cresciuto giorno dopo giorno in uno straordinario respiro reciproco; nella libertà più assoluta e nella sincerità più concreta di armoniosa ed amorosa corrispondenza di sensi …
Un’ orchestra, in frac vestita,  stuzzicava – infingarda- quei mille violini sognanti che, in timida sinfonia di una notte, perduta nella voglia più estrema di un contatto di pelle, si accingevano a regalare un idillio di malinconiche promesse;  mentre il canto silenzioso di un’opaca luna, pallida vestale, accarezzava maternamente quel desiderio primordiale di essere amati … per tutta la vita!
Mano nella mano, tra i sorrisi d’argento, sinceri e pressanti, lui e lei, in folle giravolta di sguardi assoluti, volteggiavano beati in un baratro a loro guisa, senza spazio e senza tempo.
… Ma – ahimé- anche la favola più lieta ha purtroppo il suo esasperato rovescio della medaglia! Lui, cadetto nell’anima e nella testa, quella sera, in preda alla ferocia dei suoi diciotto anni, in balia della boria dei suoi pruriti giovanili, si vendette, senza provare alcun ritegno di sorta, alla chimera di un Bacco traditore!
E così, disinibito e lussurioso … con la smania di mostrarsi falsamente uomo, portò la sua lei nel “Giardino d’inverno” e in mezzo a rose antiche ed orchidee di ogni specie … violò  con rabbiosa voracità l’intimità di quella fanciulla, che dell’amore eterno aveva fatto il suo mantra! E lei, sconfitta e amareggiata, si accorse che quella sua candida veste … di sangue si era macchiata!
Se chiudo gli occhi rivedo quella fragile ragazza stesa su quel letto di rose appassite, mentre da una trave a vista pende, freddo e privo di vita, il corpo in splendente uniforme di quel bastardo, che si faceva chiamare uomo … “la musica è finita …  gli amici se ne vanno!”







MANI DI FATA


C’era una volta un Paese felice, che si trovava ubicato su di una piccola collina sempre in fiore … Qui nessuno sapeva cosa fosse la guerra; qui nessuno –grazie a Dio- aveva mai avuto sentore di cosa significasse “giocare” d’indifferenza …
Tutti, come in un’enorme bolla di sapone di melensa castità di puro sentimento, erano gentili gli uni con gli altri, era come assistere ad un meraviglioso girotondo di bontà targata “Mulino Bianco”!
In questo luogo non era mai inverno! Non vi era mai il buio! Era dunque sempre primavera … di cuore e di anima! Qui era sempre la stagione dei fiori di pesco appena sbocciati … dei pini e dei pioppi secolari che si incontravano in un eterno abbraccio di rami intrecciati …
E in quell’aria che odorava di gentil novità si propagava in un delirio di corrispondenza di armoniosi sensi … quel canto ingenuo e fecondo di un piccolo usignolo perennemente in festa.
Ma tutta questa beatitudine oggi andava lentamente scemando in un’isteria collettiva. Sua Grazia, il principe Ettore – legittimo erede al trono- aveva dunque glorioso genetliaco! E tutto il regno era così in giustificato fermento, in quanto il giovane aristocratico avrebbe compiuto il ventiseiesimo anno di età    momento in cui, nolente o volente, lui stesso avrebbe dovuto assumersi l’onere di scegliere cortese consorte, per poi convolare a giuste nozze; giurando eterna fedeltà, di anima e di intenti, … a quel trono paterno, che di lì a poco gli sarebbe spettato, per legittimo diritto di nascita e di sangue, alla morte del sovrano suo padre!
Tradizione voleva infatti che giovane virgulto di regal discendenza scegliesse … in fatal contesa di giovani fanciulle, l’una contro l’altra, in simpatica tenzone … sorriso di donna, che l’ avrebbe dunque accompagnato in sua vecchiaia, in una gioiosa musica comune!
Infatti molte tra le ragazze, sparse tra le numerose cittadine del regno, in età da marito, avevano accettato di buon grado di sfidarsi, senza esclusione di colpi, in quel solenne gioco al massacro, che avrebbe di certo cambiato loro la stessa esistenza.
Il tutto consisteva nel donare al regal rampollo un piccolo cadeau fuori dal comune, un piccolo dono innocente capace di riscaldargli il cuore, procurandogli emozioni sincere e pulsanti!
Colei che avesse fatto breccia nel suo impavido cuore ancora vergine del vero amore; avrebbe dunque avuto la ghiotta occasione di porgere su suo capo acerbo corona in gemme assai preziose …
Tra le molti partecipanti al lieto evento, ce n’era una, che nessuno di certo, in quel piccolo regno di pace e di bontà, avrebbe mai potuto affermare, a cuor leggero, che possedesse le qualità calzanti per partecipare a cotanta tenzone … perché non era lei di nobili natali; perché la stessa natura, matrigna crudele, si era accanita, assai prepotentemente, nei suoi confronti, negandole, a priori, la stuzzicante gioia di avvenenza ed eleganza!
Ma lei … l’Ubalda, vent’anni di lieta spensieratezza, incurante di tutto e di tutti, scese in campo a testa alta! Del resto lei era amica, sincera e presente nella vita dell’erede al trono! Quante lunghe cavalcate … nei boschi adiacenti al palazzo reale … aveva fatto in compagnia del bel principe Ettore! Principe di nascita e di cuore; infatti il giovane rampollo di regal casata non aveva mai disdegnato la vicinanza di quella burrosa fanciulla così poco charmante; non gli interessava affatto la poca grazia dei lineamenti di quel viso squadrato, dove trionfava in un tripudio di imbarazzo un “ nasone”, che perfino Dante avrebbe ripudiato con veemenza!
Ettore in lei vedeva la risata più spontanea, la compagna di giochi più sincera ed affidabile … a lui di lei piacevano quei due occhi assai furbi, neri come la pece … impazziva letteralmente, quando quelle sue mani da pianista, accarezzavano furtive e vogliose quei soffici ricci, color della carota più matura. E che dire del sorriso accattivante dell’Ubalda? Ogni qual volta che la fanciulla sorrideva al mondo, pareva che il sole danzasse succube in un cielo immaginario di” lietezza “senza fine!
Sicuramente la nostra amica non era particolarmente accattivante, ma quanti la conoscevano bene, non potevano che affermare, che la stessa possedeva il segreto della gentilezza disinteressata di un’anima pura, sempre pronta a prodigarsi per quel prossimo a lei così tanto caro.
Della sua giovialità e della sua simpatia innata ne aveva dunque fatto quasi una sorta di arma letale!
Insomma l’Ubalda , nonostante il suo scarso glamour, brillava di luce propria e sapeva davvero fari ben volere ed apprezzare da quanti avevano il privilegio di ritrovarsi nella sua stessa scia!
Per lei, diventare la legittima consorte dell’erede al trono non era altro che una specie di spassosa barzelletta metropolitana; aveva accettato di partecipare a quella fatal tenzone, solamente per offrire al suo amico Ettore un regalo, capace di aprigli il cuore e di donargli emozioni senza fine …
E poi ad essere sinceri, la ragazza non ambiva per nulla a convolare a giuste nozze, in quanto, essendo l’unica donna in una famiglia tipicamente patriarcale, aveva il suo gran da fare a tenere a bada l’incontenibile irruenza di ben undici uomini dalle età più svariate.
Purtroppo l’Ubalda non aveva mai avuto una madre come faro o come maestra di vita; poiché mamma Gianna era deceduta dandola alla luce!
I suoi giorni non erano di certo le tipiche giornate di una fanciulla libera e sbarazzina, eppure lei era sempre lieta di ciò che il buon Dio le offriva quotidianamente.
Le sue ore erano scandite dalle faccende di casa … dai frugali lavoretti nella piccola falegnameria di papà Giorgio; passando per quei momenti gioiosi in compagnia degli animaletti di casa. Insomma lei era un fuoco d’artificio, un’esplosione di vita sempre pronta ad avvolgere in un caldo abbraccio quanti le volevano bene e facevano parte della sua stessa cerchia!
Ora lei aveva solo un gravoso problema da risolvere … cosa regalare al principe Ettore? Decise quindi, senza troppi indugi, di sfruttare la sua vena artistica, in materia di falegnameria … e così in una tiepida mattina di maggio, canticchiando un’orecchiabile melodia dell’infanzia, si incamminava felice nel bosco … in cerca di un pezzo di legno pregiato, per poter così forgiare un dignitoso flauto per traverso, da poter donare al festeggiato di turno!
E qui la nostra amica Ubalda, Uby per i più intimi, si trovava immersa in una realtà surreale, oserei quasi dire un mondo fantastico, dove l’elemento-natura  andava a braccetto, in sacre nozze, con l’elemento - animale … e nell’aria candida di un giorno qualunque … si poteva udire melodia, senza tempo, senza storia … di un silenzio di amorevoli sensi, nell’eterna corrispondenza di quel disegno divino, che dipingeva – a piedi nudi e mani tremanti-  la tela ancora intonsa dell’animo umano!
Ma ecco apparire dal nulla la fata SBRODOLINA, che, amica sincera e di lunga data della ragazzina, si sentiva in obbligo di “topicare” il destino più assurdo, con quella strana bacchetta a forma di cubano … per compiere un’insolita “ MISSION IMPOSSIBLE” … Aveva deciso, infatti,  poiché Uby non era di certo quel mostro di grazia femminile e di aristocratica eleganza, di donarle il cosiddetto “ SEME DELLA BELLEZZA”, affinché avesse una chance in più di far breccia nel focoso cor dell’aitante principe Ettore Maria Gabriele Fulgenzio Adelmo.
E così “ PARIPAPU …” eccola trasformarsi in una incredibile “ FEMME FATALE”, con ogni dettaglio al posto giusto, in un armonioso puzzle di sensualità e di eroticità, capaci di far perdere la “capa” al santo di turno o al povero sventurato in preda ai suoi più irrefrenabili pruriti giovanili!
Non era più la cozza simpatica e ridanciana, che perdendosi nel bosco adiacente casa, spogliava i suoi pensieri più segreti tra le braccia di quella quercia secolare! Ora era una donna bella, burrosa e vestita alla moda … in grado di catturare nella sua rete, fatta di mille tentazioni, anche il BRAD … figlio di quello squalo dello ZIO SAM!
Ma Uby, quando si specchiò nelle limpide acque di quel laghetto artificiale, nobile dimora, dell’ultimo Cigno, tenero amante di Wagner ispirato, si scoprì per la prima volta nuda ed impaurita, perché percepiva in quella top- model  d’assalto una nemica da abbattere … la negazione totale del suo IO primordiale!
D’altronde accettare quella maschera di perfezione voleva anche dire ripudiare a priori quella giovane madre, che ancora acerba, aveva donato, senza alcuna esitazione, la sua stessa vita, affinché quel dono, che aveva portato in grembo per ben nove mesi, venisse alla luce e regalasse al mondo i suoi vagiti migliori!
In questa maniera, la nostra protagonista, baciando in fronte un’attonita FATA SBRODOLINA, riottenne le sue sembianze e la sua dignità di DONNA!
Cosa fece allora la fata, sorpresa e commossa da quell’inaspettato gesto gratuito, compiuto- a brucia pelo- da una sorprendente donna ancora in erba? Decise in gran carriera di donarle un bel pezzo di tenero legno, proveniente, pensate voi, dal sacro abete tanto caro alla progenie celeste.
Così la nostra intrepida Uby, con le sue sapienti mani e il suo immenso amore,  avrebbe di certo potuto confezionare uno splendido flauto per traverso da donare, nel giorno del suo imminente genetliaco, al suo tanto adorato amico, principe Ettore.
E fu  in questa maniera, quasi poetica, che lo stesso disegno prospettato dalla simpatica fata SBRODOLINA, lentamente, giorno dopo giorno, andava prendendo forma … infatti Ubalda passava intere giornate e talvolta anche nottate nella falegnameria di famiglia …  prigioniera beata della sua voglia di compiacere il bel principe … intenta a lavorare di scalpello … quel tenero legno … divino retaggio!
Mai flauto più bello – dovete credermi- fu realizzato! Una sorta di piccolo gioiello, capolavoro indiscusso, che alla silenziosa presenza di qualsiasi occhio umano, ben allenato al cospetto della bellezza allo stato puro … non poteva che suscitare una strana sensazione di godimento inaspettato, che profumava di quel non so che di eternità!
Venne dunque il gran giorno; ma la nostra amica Ubalda non poteva esserne lieta! Aveva aperto, con caparbietà tipicamente femminile, il suo vecchio armadio di cedro antico … ma niente di quei suoi quattro cenci, ormai storditi dal tempo e dall’usura, avrebbe mai potuto essere giusto per il genetliaco di Ettore. Che tristezza nel cuore di Uby; un velo di malinconia le sporcava quel suo viso squadrato e paffuto e quei suoi due fondi neri di bottiglia grondavano all’impazzata di lacrime salate come un mare in tempesta!
Ma niente paura … a che serve la protezione di una fata? La mitica SBRODOLINA aveva assistito in religioso mutismo a quanto stava accadendo a casa della sua figlioccia … e, commossa da si tanta costernazione, decise che non poteva esimersi dall’intervenire.
E allora si materializzò d’innanzi alla sua adorata amica e, baciandola sulla guancia sinistra, pronunciò un mantra miracoloso … va da sé – evviva la banalità- che in quattro e quattr’otto … Ubalda si ritrovò abbigliata per la gran soirée danzante: nonostante il suo essere tremendamente anonima 365 giorni all’anno … in quel frangente, però, appariva bella, come una diva di Hollywood : capelli impomatati ed impreziositi in uno chignon di gran classe … abito lungo, di circostanza, rosso cardinale, accompagnato con discrezione da uno scialle di seta cinese. Il vestito era davvero un meraviglioso spettacolo di forme e di geometrie perfette: scollato appena appena sul davanti, dove trionfava, in pompa magna, una splendida collana di perle a doppio giro, resa ancora più ricca da un cameo lavorato a mano … mentre sul retro campeggiava una profonda scollatura a v che di certo avrebbe stuzzicato i vogliosi pruriti di quei ventenni di buona famiglia in cerca di una preda da impallinare ad ogni costo!
A Palazzo, intanto, la musica  da camera sottolineava, con una grande disinvoltura, quell’impalpabile emozione, che, ogni rampolla di buona famiglia e ogni gallina di buona creanza, provava dentro di sé al solo pensiero di diventare una futura testa coronata!
Quelle cagnette in calore si guardavano, dunque, con sospetto e con il desiderio più atroce di farsi fuori l’una con l’altra …  del resto – siamo sinceri- a tutte … quelle oche giulive … quell’osso saporito faceva di certo molto gola!
Piano piano quella musica soft ed avvolgente andava scemando in un silenzio quasi irreale … come in una plumbea giornata invernale, ammutolita, a sorpresa, dalla caduta fortuita di candida neve vestita a festa … Il momento era dunque topico  Sua Grazia il Principe Ettore II era in procinto di aprire i numerosi cadeaux, giunti a lui da ogni parte del globo, per mano di speranzose puellae con la bava alla bocca!
Il giovane principe aveva così ricevuto ogni sorta di ben di Dio: dai tappeti preziosi agli arazzi da mille e una notte … dalle automobili sportive, all’ultima moda, agli animali più rari, che la stessa Madre Terra avrebbe mai potuto lui offrire … dai gioielli più vistosi ad ogni sorta di reggia dimora, dove poter trascorrere il suo piacevole tempo!
Eppure, inaspettatamente, l’attonito festeggiato rimase assai colpito da quel flauto di legno profumato …  che lo volle subito provare a suonare. … Si sentì stranamente felice dentro, come se per la prima volta, fosse realmente in pace con se stesso! Come se per un istante, avesse potuto comprendere fino alla sua stessa origine … quell’amore nostrano che, vestito di semplicità, lo avrebbe  fatto sentire finalmente vivo!
E fu così che per la prima volta in una favola qualunque … un ricco castellano scelse come gentil consorte … una ragazza del popolo, assai bruttina ed irrimediabilmente digiuna da etichetta e da bon ton!
La nostra amica Uby divenne, dunque, sposa di maggio e la sua vita si divise equamente tra i suoi mille e mille doveri di corte e la sua consapevolezza di figlia e di sorella, in quella piccola falegnameria, dove ogni cosa ebbe il suo naturale inizio … dove ogni cosa, anche la più inimmaginabile,  si risolse in un happy end tutto da ricordare!





































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