Ricordo ancora, emozionato
e stupito, quel piccolo angolo di Paradiso perduto, fedele ostaggio di
quell’ultimo drago, che nessun cavaliere di buona volontà era riuscito mai a
domare fino in fondo!
Un minuscolo fazzoletto di
terra profumata; una poesia di prati in fiore, che celava dolce amoreggiar di
venticello assai galante; mentre quegli alberi secolari, toccando il cielo con
un dito, cullavano quei teneri amori tra ingenui adolescenti, ancora lindi
nell’animo in tormento … e così andava lentamente trionfando la melodia, senza
tempo e senza storia, di quel laghetto cristallino, dimora di quel cigno
ballerino … animale regale, dal vestito candido come la neve, che ogni notte –
al chiaro di luna- conversando con l’ultimo angelo caduto sulla terra, danzava
sulle note della sua stessa felicità!
E poi … in quella triste
mattinata di un novembre galeotto, dove la nebbia, fitta e meschina, avvolgeva,
con veemente prepotenza, ogni cosa che le si presentava addosso … si dipanò
malinconica verità : macchia di sangue sporcava acqua cristallina e dolce
carcassa di un danzatore, caduto ormai in disgrazia, galleggiava fredda ed
inerme stroncata dalla sua fragile dolcezza!
Così, all’improvviso in un
battito d’ala, in quel novembre tristemente cupo per nostalgia di eventi …
speculare sciagura di umana sofferenza andava piano piano manifestandosi
all’unisono … là, in quella nera prigione dalle pareti asfissianti, stretta in
quella morsa di apatico silenzio di una grigia combriccola di fabbriche
fumanti!
Maledetta scatola, senza
via d’uscita, opprimente trappola per topi da esperimento, uccideva istante
dopo istante flebile respiro di fanciulla mortificata dalla stessa sua vita.
In una stanza buia e
spoglia di ricordi, dolcemente accoccolata su di quel letto sfatto di rose
appassite, giaceva, muto ed in eterna solitudine di intento, fragile corpo di
donna violata!
Bella più che mai, come la
Fedra migliore di ogni tempo fecondo … baciata in fronte da quello stesso
Racine innamorato … gioia furtiva di occhi sognanti!
Aveva soffici capelli
corvini, raccolti, con garbata gentilezza, in quella treccia dal sapore antico;
aveva occhi grandi e profondi … di cielo vestito a primavera, che in un incubo
senza fine erano sbarrati d’innanzi al nulla di una verità nascosta ed
imploravano invano una pietà inascoltata.
E che dire della sua acerba
pelle d’avorio che odorava di bosco … e brillava in saette di luce,
risplendendo al nuovo giorno, che mestamente si materializzava al cospetto di quella
umana cattiveria difficile da sradicare … era avvolta, con garbata dolcezza, in
quell’abito di chiffon giallo, che le lasciava scoperte, in una meravigliosa
poesia d’altro tempo, quelle tenere parti di femminilità repressa per ingenua
timidezza.
Ma attorno a quel corpo
dalle geometrie perfette, come lucciole in festoso corteo estivo, scivolava
perfido sciame di piccole pillole letali, retaggio indiscusso di una voglia
pazza di farla finita … di una voglia pazza di gettarsi, senza mai voltarsi in
dietro, in quel sottile baratro, che l’avrebbe di certo condotta nella valle
dell’oblio, nel paese dei balocchi … dove forse per la prima volta si sarebbe
potuta finalmente sentire viva!
Se mi fermo a pensare ai
perché della vita – credetemi sulla parola- sento brividi di un dolore atroce e
mi piego, ormai spezzato, a quella malinconica memoria di un ricordo crudo ed
insopportabile!
Chiudo dunque gli occhi,
gonfi di lacrime incredule, in una sorta di forzata compostezza e mi accorgo di
vedere lei, in tutto il suo splendore … soccombere ingiustamente tra le forti ed ingannevoli braccia di
quell’ultima belva, con l’abito della domenica, che, in preda ai suoi pruriti
più subdoli e ai suoi istinti più bassi, si ciba, con la bava alla bocca di
quella verginità violata!
La ragazza non avrebbe mai
immaginato che quel lecito rifiuto di un ballo proibito, in riva ad un mare
immaginario, in una notte falsamente propizia, nel caldo abbraccio di un’estate
incalzante; avrebbe così potuto determinare quella causa scatenante, che
l’avrebbe poi condotta tra le impalpabili ed avvolgenti braccia del buon
Morfeo, perfetto spettatore!
… Era dunque lei, la
fanciulla dalla lucente chioma corvina, sistemata con garbo in un elegante
chignon dal profumo di fiaba d’altro tempo!
Era dunque lei, la giovane
Venere sognante dall’essenza meravigliosa di quella fresca pelle d’avorio
luminoso!
Com’era bella,
tremendamente bella, quel nefasto
quindici Luglio … nel giorno felice di quel genetliaco: sedici splendidi anni in
speranza di un futuro a lei ameno.
Elegante, come Musa
fortemente cercata da acerbo pittore in erba, desideroso di ispirazione ad ogni
costo, si mostrava … lieta in quel suo piccolo cor, che batteva all’impazzata.
Apparve così, come gentil
nuvola di seta bianca abbigliata, in quell’immenso salone delle feste,
brulicante di giovani aitanti ansiosi, in testa loro, di danzare quel primo
valzer di felicità.
Ma lei … il suo principe
azzurro lo aveva già – di grazia- incontrato:
bello e splendente in quella sua uniforme di gala; perché lui non era
altro che speranzoso cadetto di una prestigiosa scuola militare.
Anche, se in verità, i due
giovani si frequentavano ormai da tempi non sospetti, da quella loro tenera
infanzia di ovatta e di zucchero filato!
Fin da piccoli, infatti, i
due bimbi, alla scoperta del loro mondo circostante, avevano respirato la
medesima aria; avevano calpestato gli stessi prati verdi.
Questo all’occhio altrui
poteva quindi apparire come una specie di amore” geniale”, un amore spavaldo …
avvolgente come il sole! Un sentimento “ burroso” che era cresciuto giorno dopo
giorno in uno straordinario respiro reciproco; nella libertà più assoluta e
nella sincerità più concreta di armoniosa ed amorosa corrispondenza di sensi …
Un’ orchestra, in frac
vestita, stuzzicava – infingarda- quei
mille violini sognanti che, in timida sinfonia di una notte, perduta nella
voglia più estrema di un contatto di pelle, si accingevano a regalare un
idillio di malinconiche promesse; mentre
il canto silenzioso di un’opaca luna, pallida vestale, accarezzava maternamente
quel desiderio primordiale di essere amati … per tutta la vita!
Mano nella mano, tra i
sorrisi d’argento, sinceri e pressanti, lui e lei, in folle giravolta di
sguardi assoluti, volteggiavano beati in un baratro a loro guisa, senza spazio
e senza tempo.
… Ma – ahimé- anche la
favola più lieta ha purtroppo il suo esasperato rovescio della medaglia! Lui,
cadetto nell’anima e nella testa, quella sera, in preda alla ferocia dei suoi
diciotto anni, in balia della boria dei suoi pruriti giovanili, si vendette,
senza provare alcun ritegno di sorta, alla chimera di un Bacco traditore!
E così, disinibito e
lussurioso … con la smania di mostrarsi falsamente uomo, portò la sua lei nel
“Giardino d’inverno” e in mezzo a rose antiche ed orchidee di ogni specie …
violò con rabbiosa voracità l’intimità
di quella fanciulla, che dell’amore eterno aveva fatto il suo mantra! E lei,
sconfitta e amareggiata, si accorse che quella sua candida veste … di sangue si
era macchiata!
Se chiudo gli occhi rivedo
quella fragile ragazza stesa su quel letto di rose appassite, mentre da una
trave a vista pende, freddo e privo di vita, il corpo in splendente uniforme di
quel bastardo, che si faceva chiamare uomo … “la musica è finita … gli amici se ne vanno!”
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