DEDICA
Sabine, ascolta! Risuona nel vento la mia
malinconia, che si infrange nella disillusione di un mondo che non c'è più,o
forse non c’è mai stato. Io canto una canzone che rompe il mio cuore,
le cui note, in un crescendo di attimi silenziosi e compiti, applaudono un ieri così lontano. Io dipingo una donna che è svanita nel nulla del mio pensiero, più triste. Io sogno una fuga che mi conduca a te.
Sabine ascolta l'esile voce di un lamento antico. Chi è Sabine? E’ il non senso di un sorriso, che profuma di marmellata al limone,mentre l'impiccato chiude, inesorabile,
gli occhi alla vita: è la sconfitta di un mio gesto, quando si apre una finestra ed entra un raggio di sole. E’ la lacrima di un angelo, che si specchia nelle rughe
di una donna che bestemmia contro una vita sbagliata. E’ la canzone stonata di un perdente, che vomita quell'ultimo bicchiere. Chi è Sabine? È un pensiero
ancora vergine e scivola l'inchiostro su quella pergamena, dove tu meravigliosamente vera ti mostri nella tua luce più segreta. Albero di pesco nuovamente fiorisce nel giardino delle fate felici.
Immersa nell'abito tuo di rose nere entri nel cuore di quanti incontrano, a sorpresa, il tuo sguardo, in preda a quel sorriso, in orgia di sensazioni antiche. E ne restano assopiti, dannatamente rapiti, mentre quella tua gentile beltà si immola nella melodia di quel dolce ruffiano che ti chiede un bacio d’amore.
I violini suonano la tua canzone, a noi strana memoria di un girotondo di cherubini in festa, e il cielo si scopre nuovamente stellato. Quel giovane pittore, amore che fugge, accarezza le tue
gote d'alabastro ed intanto un aquilone di carta pesta, dono di un felice presagio, vola, fiero, nelle piaghe di questo mio animo così confuso. C'erano tutti - e tu lo sai - alle nozze sacre!
Il saccente ha distrutto il palazzo incantato e tu Sabine, mia grandissima utopia, ti rinchiudi nel guscio dell'umana follia; dov'è il bastone del saggio? Nel pianto di Freia!
Qualcuno ha rubato il nettare di Fricka! Nella fertile terra della nostra Signora, un gioielliere d'alto rango ha creato l'opera d'arte … incastonata tra quei monti
galeotti sta la cittadella alta, che veglia il tuo respiro. Guarda Sabine quei due giovani amanti, belli e fulgidi in quella loro lucida pazzia!
Ferma e muta trionfa l'immagine dell'artifizio allucinato; nel frattempo, bagnato dal pianto del Werther prussiano, sta un pallido sole, che sputa le sue mille nevrosi … e la fontana, avvolta nell’enfasi di uno strano incantesimo, zampilla gli ultimi istanti di una pace oramai perduta.
le cui note, in un crescendo di attimi silenziosi e compiti, applaudono un ieri così lontano. Io dipingo una donna che è svanita nel nulla del mio pensiero, più triste. Io sogno una fuga che mi conduca a te.
Sabine ascolta l'esile voce di un lamento antico. Chi è Sabine? E’ il non senso di un sorriso, che profuma di marmellata al limone,mentre l'impiccato chiude, inesorabile,
gli occhi alla vita: è la sconfitta di un mio gesto, quando si apre una finestra ed entra un raggio di sole. E’ la lacrima di un angelo, che si specchia nelle rughe
di una donna che bestemmia contro una vita sbagliata. E’ la canzone stonata di un perdente, che vomita quell'ultimo bicchiere. Chi è Sabine? È un pensiero
ancora vergine e scivola l'inchiostro su quella pergamena, dove tu meravigliosamente vera ti mostri nella tua luce più segreta. Albero di pesco nuovamente fiorisce nel giardino delle fate felici.
Immersa nell'abito tuo di rose nere entri nel cuore di quanti incontrano, a sorpresa, il tuo sguardo, in preda a quel sorriso, in orgia di sensazioni antiche. E ne restano assopiti, dannatamente rapiti, mentre quella tua gentile beltà si immola nella melodia di quel dolce ruffiano che ti chiede un bacio d’amore.
I violini suonano la tua canzone, a noi strana memoria di un girotondo di cherubini in festa, e il cielo si scopre nuovamente stellato. Quel giovane pittore, amore che fugge, accarezza le tue
gote d'alabastro ed intanto un aquilone di carta pesta, dono di un felice presagio, vola, fiero, nelle piaghe di questo mio animo così confuso. C'erano tutti - e tu lo sai - alle nozze sacre!
Il saccente ha distrutto il palazzo incantato e tu Sabine, mia grandissima utopia, ti rinchiudi nel guscio dell'umana follia; dov'è il bastone del saggio? Nel pianto di Freia!
Qualcuno ha rubato il nettare di Fricka! Nella fertile terra della nostra Signora, un gioielliere d'alto rango ha creato l'opera d'arte … incastonata tra quei monti
galeotti sta la cittadella alta, che veglia il tuo respiro. Guarda Sabine quei due giovani amanti, belli e fulgidi in quella loro lucida pazzia!
Ferma e muta trionfa l'immagine dell'artifizio allucinato; nel frattempo, bagnato dal pianto del Werther prussiano, sta un pallido sole, che sputa le sue mille nevrosi … e la fontana, avvolta nell’enfasi di uno strano incantesimo, zampilla gli ultimi istanti di una pace oramai perduta.
Sventola il leone alato
nel vento del ricordo. In cima alla disperazione; otto amanti tuoi vogliono
una tua carezza appassionata; ma quel mondo così bastardo e futile li deride come pazzi in camicia di gran gala. Hanno tentato invano di distruggere le tue catene, affinché tu potessi
ancora giocare, libera, in quel castello di carta velina; affinché tu potessi guarire il tuo popolo stanco ed oppresso e magari ricevere, a gentil tradimento, un sorso dell’ebbrezza divina, per poi donare una pugnalata senza storia e domandarsi,
come cretini, che senso abbia nascere per sotterrare l'amore.
una tua carezza appassionata; ma quel mondo così bastardo e futile li deride come pazzi in camicia di gran gala. Hanno tentato invano di distruggere le tue catene, affinché tu potessi
ancora giocare, libera, in quel castello di carta velina; affinché tu potessi guarire il tuo popolo stanco ed oppresso e magari ricevere, a gentil tradimento, un sorso dell’ebbrezza divina, per poi donare una pugnalata senza storia e domandarsi,
come cretini, che senso abbia nascere per sotterrare l'amore.
CAPTATIO BENEVOLENTIA
LETTERA A SABINE
Cara
Sabine,
io
scrivo a Te in questa sera di maggio, sebbene io percepisca nel mio gesto una
sottile vena di lucida follia, che senz’altro un po’ mi appartiene.
Tu
sei e resterai la mia sola grande Musa ispiratrice e non mi importa se i più mi
guarderanno con sospetto, perché ogni sorta di commento altrui è per me fonte
di grassa ilarità. E del resto, a dirla
tutta, “la mamma dei cretini resta sempre in cinta!”
Tu
sei come quel leggero venticello, che, sorridendo, rincorri quel contadino
laborioso, accaldato dalla fatica del quotidiano.
Tu
rappresenti quella triste melodia, vestita di nostalgica passione, capace di
rapire le emozioni più crude di quel giovane artista, profumo di genio, che, in
silenzio, amoreggia nell’opulenza di colori ribelli, che si stendono supini su
quella tela, ancora intonsa.
La
Tua Anima, così nobile e perversa, si
sposa a pieno con la creatività spavalda di colui che, ancor oggi, in questo
tempo di puttane sempre in vendita, trova l’attimo propizio per abbandonarsi,
nudo alla meta, a sogni sempre più blasfemi.
Se
chiudo gli occhi in quella notte, dove quei Tuoi ingombranti pensieri di
rivalsa si fanno sempre più Misteri; io mi accorgo di essere più stupido che
mai! Perché Ti vedo in quel gazebo di rose nere, mentre sei intenta a sorseggiare, da quel
calice dorato, emblema del Tuo sacro Rango, il sangue di quel tuo ultimo
amante!
Sei
Tu, semplicemente Tu, dolce Sabine, la legittima Discendenza della “Fricka”
Germanica.
Non
è forse Tua Madre, fedele Custode di quel Nettare angelico, tanto caro al
divino Wotan e alla Sua Celeste Stirpe?
Più
Ti penso, più cresce in me quell’assurdo azzardo di vederTi: quella voglia
matta di far incrociare, per la prima volta, i nostri sguardi trasognanti;
quell’assurda pretesa che gli stessi si possano finalmente congiungere in un’
estasi subliminale, anche se fosse solamente per un breve istante! Per poter finalmente provare l’ebbrezza di
quella stessa passione, che aveva proiettato nell’armonia dei sensi perduti gli
infernali Paolo e Francesca.
Vorrei
che il Tuo Soffio di Vita Eterna spronasse il mio intelletto, che toccasse le
corde del mio cuore, affinché questa mia penna malata scivolasse, bramosa, su
quell’ennesimo foglio, ancora vergine.
Ma
Tu, sdegnosa per Natura, sei alquanto evasiva, capricciosa: un giorno io esisto,
e Tu mi illudi con i Tuoi Baci di passione, per poi, senza ritegno, negarmi la
Tua Mano … il Tuo sostegno!
E
sei subito pronta, come una squallida Messalina, invasata, a sedurne un altro.
Ed io resto lì, come un idiota qualunque, smarrito nei miei mille perché di un
dolore indecente.
Se
avessi la certezza matematica che, donandoTi
una rosa rossa Tu saresti solo mia; la coglierei subito e, con occhi
chiusi e cuore aperto, cercherei dunque la più bella nel giardino delle
proibizioni.
Eppure,
quando sono solo e mi guardo dentro, io comprendo bene che questa mia gabbia
dorata non potrà mai appartenerTi fino in fondo; perché Tu sei libera di volare
e non appartieni a nessuno, tanto meno appartieni a me!
E
spesso, sono sincero, cercandoTi invano, io spero che Tu possa spezzare questo
mio giogo, che mi tiene ancorato a questa realtà sempre più opprimente.
Vorrei
volare anch’io, con Te, sul Tuo Pegaso!
Scriverei
di quei due innamorati che per troppo amore sono svaniti nel nulla. Dipingerei,
con i colori del cielo, lo sguardo sognante di una giovane mamma, che stringe,
per la prima volta, quell’angelo biondo, di talco vestito, al suo grembo ancora
caldo. Tradurrei, in versi di malinconia,
quel languido lamento di un vecchierello canuto, che si ostina, con le
lacrime agli occhi, ad invocare il suo
ieri. Correrei, a piedi scalzi, in quel campo fiorito, inseguendo un cucciolo
di cane...
Alla
Mia Musa, Sabine, io rinnovo il mio Saluto. E che queste parole la inducano a non
dimenticarsi di me! Che la Sua Ispirazione sia la mia ispirazione; e che il mio
canto non si svenda mai alla falsità e alla ipocrisia di un millennio tutto da
dimenticare.
Un
abbraccio
Tuo
per sempre Jacob
PREFAZIONE
E’ questo dunque una sorta di viaggio immaginario
in terra d’oblio, vissuto e celebrato nell’incertezza e nella precarietà;
un viaggio affascinante e nel contempo
misterioso, in cui il medesimo uomo resta affascinato dalla Signora del Nostro Cinema, OSSESSIONE, magnifica, per eleganza e verità d’intento, l’ultima
vera Diva della Settima Arte!
Tutto ha inizio, quando
il mondo, nella sua più intima implosione, va scontrandosi con l’incertezza e
la fragilità umana, la quale, in virtù della sua più segreta verità, decide di
abbandonarsi alla più fertile pazzia, per applaudire, in un profetico silenzio,
la virtuale fine di ogni nesso logico, che contribuisce al mantenimento forzato
di una consuetudine falsa ed approssimativa.
Il mondo scricchiola ed
ogni cosa sembra destinata ad infrangersi contro il muro invisibile della
dilagante tracotanza di un uomo finito, umiliato, perso nella sua più totale ed
irrimediabile stupidità all’ennesima potenza! L’uomo è morto nelle piaghe di
quel mostro a due teste che ha vinto la battaglia e che ora si appresta a
vincere l’intera guerra, sferrando il colpo di grazia, nei confronti di una
società malata, bastarda; una società di individui inutili e superflui!
Ma la speranza è l’ultima
a morire! E il cavaliere senza macchia, nostro più intimo amico, cavalca il suo
bianco destriero e attraversa la buia selva della nostra stessa cattiveria,
addomesticando in un’orgia quasi mistica, gli ultimi rimasugli di piccoli cuori
sanguinanti, ancora in grado di amare.
E forse l’oscurità delle
tenebre verrà rischiarata, a sorpresa, da quella piccola candela d’argento, che
illumina, convinta e sincera, l’anima bella di NOSTRA SIGNORA DELLA MONTAGNA.
È un tracciato fantastico,
dove la connotazione spazio-temporale si annulla repentinamente, con la gradita
consapevolezza di un POI rivelatore, momento catartico per eccellenza.
E’ la ricerca perpetua di
un’ ETERNITA’ conclamata; voglia appassionata di toccare con mano la propria
ESSENZA, svestendosi di quell’armatura che ci opprime dentro, festeggiando, a
sorpresa, il solenne ricongiungimento col nostro GODOT di turno.
Un viaggio silenzioso in
compagnia del GENIO della LAMPADA, con cui VISO d’ANGELO si imbatte in
discussioni tragicamente abusate e ostinatamente tradite dal nulla di una
perfezione ad ogni costo, nell’enfasi primordiale di quei quattro CHERUBINI
impazziti.
Una dolce utopia da
ricercare, senza inganni e senza trucchi, nella meraviglia agghiacciante di una
luna vestita a festa, che strizza l’occhio voglioso a quel bacio di stelle
infatuate, mentre il folle vento di una primavera lontana sussurra a quel
sorriso basito la gioia di due giovani menti, che si riscoprono nude per la
prima volta, nell’infuocato rossore di due gote in fiore.
E’ un itinerario di
scatenata libertà d’azione, che si traduce in quel desiderio inafferrabile di
leggerezza di sensi legati al nesso logico di un giorno lungo una notte; la
fobia, senza velo, di tuffarsi, increduli, nella verità assordante di quel
bimbo vispo, che scivola nella contentezza estrema di quella lieta estate, senza
fine.
E’ il desiderio
inconsueto di malinconia, una bramosia inspiegabile di sparire nel dolore
accettato di un vecchio barbone che non crede più al domani, l’ultimo sorso di
una vita alla deriva, per poi gettarsi finalmente tra le invitanti lenzuola di un
Morfeo accogliente.
E’ quella costante
preghiera di un silenzio rumoroso, che ti costringe ad annullarti in quel canto
tantrico, mentre un’anima persa conta le rughe dei suoi perché, leggeri, come
quella piuma, che scompare nella brezza più intima di un respiro, lungo
un’ETERNITA’!
E’ la rivincita della
fragilità umana, che si scompone, mesta e lenta, in quei piccoli frammenti di
aulici pensieri.
L’io si congiunge al non-
io e il tutto abbraccia il nulla, descrivendo una notte che, in mistico
aspetto, sposa quella aulica sublimazione interiore, tremolante in un’orgia senza
fine.
PRIMA PARTE:
La perdita del NESSO LOGICO
Nel
buio più profondo di un millennio alla deriva, la terra è ormai sommersa da
quelle acque in rivolta, che , spavalde,
e senza indugi, hanno rotto quegli argini dell’umana follia!
E tutto assomiglia sempre più ad una enorme
accozzaglia di stupide menzogne, studiate a tavolino, per fare impazzire il
buon PADRE DI FAMIGLIA …
Immondizia
di giovani e vecchi cuori, ricoverati in grigie corsie di ospedali per anime
perse, vanno lentamente consumandosi nella tracotanza mistificatrice di quel
bavoso mostro in litania di orgiastica celebrazione.
Maledetto
Mostro a due teste, che, digrignando gli aguzzi denti, si eccita al solo
pensiero di cibarsi del conclamato terrore di uomini sbagliati, semplicemente
allo sbando.
Inferno
colossale di grida strazianti che, implorando perdono, invocano pietà a Freia
addolorata, sperando nella salvifica venuta ad hoc di quell’ Angelo vestito di
fuoco che regala attimi di vanità!
Ed intanto una musica assordante ti fa
letteralmente impazzire dentro quella scatola cranica, ormai in tilt e quel
cervello, vestito di ragnatele metalliche, si scontra con un dolore atroce che,
implacabile, ti lacera tutto, fino al tuo budello, fino alla parte più corrotta
della tua insignificante essenza di essere umano senza storia e senza gloria. E
ti accorgi all’improvviso di essere solamente uno squallido individuo, un
giullare di un tempo asfissiante!
Grossi
scarafaggi neri, in dialetto augusteo” bagarozzi”per nomea – con la valigia
sempre pronta- e ben pasciuti nel calore
di quel fienile complice, vanno somigliando, per fattezze e buona volontà, sempre più, a degli appetitosi maiali da macello; i quali, con incedere sospetto,
sul quel campo di battaglia, cedono a quella malsana idea di un prossimo ed
imminente attacco, da un nemico sconosciuto.
Vasti
campi di grano infetto, bruciati dall’arsura più nera e da quella “silenziosa
sfiga”, monitorata, con perversione assoluta, in quello sconfinato mondo
paranoico; partoriscono creature indefinite, che si eclissano in quelle quattro “balle di
circostanza”, immonda volgarizzazione di
quelle atroci libertà violate, da quella allucinante schiavitù purtroppo più
volte dichiarata in un sogno di una notte di mezza estate.
Mille
papaveri rossi, vestiti a lutto, nel pensiero voluttuoso di quella puttana
zoppa, che cerca invano, nel cassonetto più lercio, la fresca carogna, massacrata
a sassate, di quell’ultima sveltina, nata nella solitudine di quel suo cuore
malato, malato di una malinconia inaspettata!
Urla
feroci e dissacranti di piccoli gnomi, perfidi e sporchi, che vomitano –a più
riprese- cattiverie assortite e intanto quel girotondo di bimbi , spaventati
dal nulla, sparisce, lentamente, nell’oscurità più profonda, perdendosi in quel
labirinto di luci fioche, nelle feroci fauci, insanguinate, di quell’ultimo
mostro sbattuto, per meriti di audience, in copertina!
E
quella plumbea atmosfera, senza capo e senza coda, rumoreggia a furor di
popolo, stordita nello schiaffo nefasto di un dio senza gloria; mentre losche
melodie, straripanti di non senso, solleticano spettri in odore di una tardiva vendetta
a denti stretti. Maledetta sia perciò … quella clessidra di vetro opaco
che scandisce, a singhiozzo e in un
silenzio quasi assordante, un tempo
infame - che ahimè - non è più tempo!
Maledetta
– lo ripeto col senno di poi – sia quella clessidra di vetro opaco, dove una
leggera sabbia di insignificanti verità e di velenose menzogne a ventosa, si
consumano assai lentamente nell’umana affettazione. E tutto si tinge di una
pigra tracotanza velata, senza ormai più mordente, senza oramai più storia!
Niente
pudore, niente più candida nostalgia retrò di un amor profano! Che melanconica
poesia di genere, scritta a quattro mani da quel cretino di turno, che per due
lire di notorietà forzata, si crede grande letterato a tutti gli effetti!
Sotto
quello stanco pioppo secolare ( morente nelle sue foglie secche ed ingiallite,
a causa di una sottile cattiveria latente, di parole senza senso, a causa della
continua vigliaccheria di squallidi discorsi lontani anni luce, che torturano
qualsiasi anima pia, in cerca di VERITA’
ASSOLUTA.) giace dunque, inerme e
stecchita, uccisa fuori e violata
dentro, ossuta carogna di giovane cagna,
senza coda e senza denti. I suoi tristi occhi nocciola - sbarrati al cielo - hanno invano cercato amorevole carezza di
un padrone, capace di spogliarsi da quel suo essere tremendamente e
profondamente bastardo!
Pioggia
inconsulta di fragili lacrime di amanti perduti nella folle arena di un tango
galeotto, che dolcemente va assopendosi nel respiro affannato di quel vecchio
magnaccia che sogna la sua mignotta più bella!
E
un pianto antico di due corpi nudi e
mutilati, avvinghiati e massacrati, con una grande caparbietà d’intento,
costituisce forse lo spettacolo più sincero di una lunga e continua sciarada in
bianco e nero, da giocarsi, in prevalenza, nelle calde ed avvolgenti braccia di
un Morfeo traditore!
Un
Morfeo rotto nella testa e nel cuore; umiliato da quella carezza concepita idealmente
da quel demone cercato,vestito in doppio petto blu.
Demone
sciancrato dalle fiamme oscure di un incendio ben congegnato;demone fasullo,
amico interessato di quel ciccione, ridicolo omuncolo di poco conto, che della
vita stessa ne fa uno sfacelo!
Demone,
comprato su quella bancarella
itinerante,dove lui, ingrato e cornuto, a causa di un malsano amplesso, finto e
stucchevole, appena consumato in quel rito orgiastico d’altro tempo, serpeggia
sibillino nella pazzia più nera di un ultimo capo espiatorio, che profuma di
corruzione e di lingua a penzoloni.
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