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Il 13 febbraio 1974 i segretari amministrativi dei partiti di governo (DC, PSI, PSDI, PRI) furono indagati dalla magistratura genovese per aver ricevuto fondi dall'Enel (compagnia elettrica di stato) e dalle compagnie petrolifere, per una politica energetica contraria alle centrali nucleari: secondo il giudice Mario Almerighi, la tangente era del 5 per cento sui vantaggi derivanti ai petrolieri dall'approvazione di quelle leggi; era dunque direttamente conseguente agli effetti dei vari provvedimenti legislativi e non una tangente su contratti, su forniture. Quel cinque per cento veniva ripartito, in proporzione al rispettivo peso politico, tra tutti i partiti di governo[1].
Il IV Governo Rumor si dimette il 2 marzo 1974, con il ritiro di quella che per la prima volta il repubblicano Ugo La Malfa dichiara essere la "delegazione" del suo partito al Governo. Il rientro nella maggioranza, anche se non nel Governo, fu propiziato dall'adesione alla richiesta del PRI di riconoscere la necessità di sormontare il discredito determinato dallo scandalo petroli (che coinvolgeva pesantemente anche suoi esponenti, collegati con la principale azienda petrolifera ligure) con una legge sul finanziamento pubblico dei partiti.
Proposta da Flaminio Piccoli ed approvata in meno di un mese, la nuova legge (n. 195 del 1974) al suo interno previde la norma incriminatrice del finanziamento illecito dei partiti in ragione della quale le contestazioni penali per molti segretari amministrativi e tesorieri di partiti di maggioranza furono derubricate.
La Commissione parlamentare per i procedimenti di accusa si occupò del caso e, l'8 marzo 1974, constatò l'avvenuta prescrizione dei fatti contestati agli ex-ministri Giulio Andreotti e Mario Ferrari Aggradi (entrambi della DC); deliberò l'archiviazione degli atti a carico di Giacinto Bosco (DC) e Luigi Preti (PSDI) e aprì un'indagine sull'operato degli ex-ministri Mauro Ferri (PSDI) e Athos Valsecchi (DC)[2]. Cinque anni dopo, il 24 gennaio 1979, la commissione inquirente si pronunciò in senso assolutorio nei confronti degli ultimi due ex-ministri coinvolti, non riscontrando a loro carico elementi di reato; la relazione del senatore Nicola Lapenta[3] fu trasmessa il 9 febbraio successivo al Parlamento che, nei termini previsti dal regolamento, non produsse le firme necessarie per la messa in stato d'accusa degli ex-ministri inquisiti.
Il traffico clandestino di prodotti petroliferi dal 1973 al 1979 "interessò l’intero Nord-Italia, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte alla Liguria e si estese fino al centro della penisola. Per lo Stato, molte migliaia di miliardi di lire di evasione delle Imposte di Fabbricazione previste dalla legge sui derivati del petrolio. Tutto venne scoperto - pur tra mille difficoltà ed ostacoli - dalla Magistratura di Torino e di Treviso, con l’aiuto decisivo di sottufficiali e ufficiali della Guardia di Finanza che non cedettero alle pressioni della loro stessa gerarchia"[1].
Anche in questo caso, come nel primo scandalo, ci fu un'istruttoria dell'Inquirente sulla nomina del comandante generale della guardia di finanza, che non diede origine ad alcun processo per reato ministeriale[2].
La Corte dei conti si pronunciò "per la restituzione in solido di 100 miliardi nei confronti dell'ex Comandante generale, Raffaele Giudice, e dell'ex Capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, Donato Loprete"[3].
Lo scandalo Watergate, o semplicemente il Watergate, fu uno scandalo politico scoppiato negli Stati Uniti nel 1972, innescato dalla scoperta di alcune intercettazioni illegali effettuate nel quartier generale del Comitato nazionale democratico, a opera di uomini legati al Partito Repubblicano.[1][2]
Lo scandalo - che portò alla richiesta di impeachment e alle dimissioni di Richard Nixon, allora Presidente degli Stati Uniti - prese il nome dal Watergate Complex, un complesso edilizio di Washington che ospita il Watergate Hotel, l'albergo in cui furono effettuate le intercettazioni che diedero il via allo scandalo.[2][1][3]
L'inchiesta giornalistica promossa da due reporter, Bob Woodward e Carl Bernstein, suscitò la crescente attenzione nell'opinione pubblica per la vicenda che, iniziata come modesto reato compiuto da personaggi secondari, crebbe fino a coinvolgere gli uomini più vicini al presidente, lo stesso Nixon e tutto il suo sistema di governo incentrato su attività illegali di controllo e spionaggio interno attuate allo scopo di mantenere il potere.[4][1][2][3] Ha ispirato il film Tutti gli uomini del presidente.[5]
Lo scandalo si sviluppò nel contesto della crisi politico-sociale presente da anni negli Stati Uniti a seguito soprattutto delle vicende della guerra del Vietnam, che sin dalla presidenza di Lyndon B. Johnson era sempre più impopolare fra il popolo americano e le stesse élite economiche. Lo scandalo interessò una serie di eventi che durò circa due anni (1972-1974) e nacque dalle pratiche e dalle attività studiate e organizzate dall'amministrazione Nixon per consolidare il proprio sistema di potere e indebolire l'opposizione politica dei movimenti pacifisti e del Partito democratico.
Importanti atti d'accusa furono i documenti del Pentagono (Pentagon papers), uno studio top-secret del Dipartimento della Difesa sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam e su precedenti conflitti politici o militari nel Sud-Est asiatico, alla vigilia della fine dell'occupazione coloniale francese in Indocina. Nixon resse a due anni di montanti difficoltà politiche, ma la pubblicazione del nastro noto come "la pistola fumante" (smoking gun) nell'agosto 1974 portò con sé la prospettiva di un sicuro impeachment per il presidente, che infatti diede le dimissioni quattro giorni dopo, l'8 agosto.
Lo scandalo Watergate costituì uno dei più grandi scandali politici della storia americana ed ebbe vasta eco internazionale su tutti i quotidiani. La stessa parola "Watergate" è diventata linguisticamente produttiva nel linguaggio giornalistico americano: il suffisso -gate compare regolarmente (oramai scisso dal suo etimo originario) col significato di "scandalo" in molti neologismi quali Irangate, Whitewatergate, Datagate, Sexgate e altri.
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