Il lato segreto del Risorgimento, Giulia Colbert Falletti di Barolo

Il lato segreto del Risorgimento, Giulia Colbert Falletti di BaroloGiulia Colbert Falletti di Barolo fu una di quelle donne che, grazie al loro carisma e alla loro bontà d’animo, contribuirono in modo silenzioso alla realizzazione dell’Italia Unita.

Nacque francese, ma si dimostrò fin da subito italiana per spirito e vocazione dopo le nozze celebrate con il nobile piemontese Tancredi Falletti.

Certamente Giulia nel “calderone” risorgimentale non rappresentò un’esperta agitatrice politica, in quanto disponeva di un temperamento intimista, poco incline alla spettacolarizzazione degli eventi e possedeva un’anima pura vibrante di una religiosità sentita, ma non per questo motivo non fu persona tanto volitiva quanto cocciuta!

Giulia Vitturnia Francesca Colbert vide i suoi natali il 27 giugno 1785 tra le sontuose pareti del castello di Maulévrier in Vandea e la sua famiglia occupava una posizione di alto prestigio nel mondo ovattato dell’aristocrazia francese. Sua madre era la contessa Anne-Marie de Quengo de Crenolle; strettamente imparentata con Luigi XVI, mentre il padre era il marchese Edouard Colbert di Maulévrier, discendente del più famoso Jean-Baptiste Colbert, ministro del re Sole.

La sua infanzia fu legata a eventi sanguinari ed epocali. La madre morì quand’ella era ancora in tenera età, proprio nel momento topico in cui il popolo francese era riuscito a espugnare la Bastiglia, simbolo indiscusso dell’ancien régime.

Inoltre sulla sua famiglia, a causa dell’altisonante nome della casata, si abbatté la scure di una tremenda repressione orchestrata dalle “milizie rivoluzionarie”. E la piccola Giulia fu innocente testimone di atroci episodi di vendetta, nei quali persero la vita due bisnonne, due zie e alcuni cugini, cui era profondamente legata: furono trascinati via in catene e ghigliottinati pubblicamente in piazza.

Il lato segreto del Risorgimento, Giulia Colbert Falletti di Barolo

Dopo questo scempio il padre decise di partire per l’Olanda; ove restò fino a quando Napoleone Bonaparte, cambiando le leggi rivoluzionarie, non garantì un ritorno senza ritorsioni di alcun genere alla nobiltà legittimista che, grazie all’esilio, si era salvata dalla furia del Terrore.

 

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La vita di quest’eroina risorgimentale cambiò radicalmente nel momento in cui si unì in matrimonio con il nobile piemontese. Decisero di stabilirsi a Torino, concedendosi però il lusso di trascorrere parte dell’anno a Parigi e parte in viaggio, attraverso l’Olanda, il Belgio e la Germania... paesi da entrambi amati fin dalla più tenera età.

Giulia Colbert Falletti di Barolo iniziò il suo fervente apostolato alla causa risorgimentale italiana nel pieno delle feste pasquali del 1816, quando durante una processione di fedeli, indetta dalla parrocchia di Sant’Agostino per amministrare la santa comunione agli ammalati del quartiere, venne a conoscenza della drammaticità della vita in carcere e del lassismo della politica medesima nei riguardi di questa spinosa questione.

Si interessò in particolar modo della sezione femminile del carcere, dove aveva assistito allo spettacolo davvero agghiacciante di povere donne rinchiuse in anguste e buie camerette. Non indossavano abiti, ma stracci dai quali trasparivano carni tumefatte. Colpita da così tanta crudeltà, la nobile Giulia Colbert Falletti di Barolo si mise a studiare con le autorità cittadine un piano di recupero sociale, osteggiando apertamente tutte quelle teorie che reputavano la perdizione di certi soggetti come la conseguenza di un rapporto causa-effetto da attribuirsi con leggerezza alla mera biologia; ossia i criminali facevano parte, senza alcun appello, di una “razza criminale”.

Incoraggiata dal plauso delle stesse detenute e da un così grande successo, la marchesa Colbert Falletti di Barolo decise di chiedere al nuovo re Carlo Felice di accelerare le pratiche e i tempi per compiere una riforma carceraria che consentisse la riabilitazione sociale di tutte le sventurate costrette a dimorare nelle patrie galere. Il sovrano, affascinato dalla caparbietà di Giulia, aderì di buon grado a quasi tutte le richieste della donna.

Innanzitutto mise a disposizione un vecchio castello denominato “delle Sforzate”, dove l’indomita nobildonna raccolse un numero imprecisato di detenute provenienti dai differenti istituti di pena, le rivestì con abiti decenti, rassicurandole sul loro prossimo futuro.

Il lato segreto del Risorgimento, Giulia Colbert Falletti di Barolo

Il nuovo edificio carcerario era accogliente, salubre e ben illuminato. I servizi erano rudimentali ma alquanto efficienti. Alle porte e alle finestre non furono applicate le sbarre; in questo modo l’intero contesto appariva sempre più come un tipico collegio femminile, piuttosto che una casa di correzione.

Impressionato dai risultati ottenuti dalla Colbert, Carlo Felice le diede ancora una volta fiducia e carta bianca in materia di istruzione. Giulia, infatti, aveva osservato, con grande arguzia, che accanto alle scuole per i più abbienti, destinate a formare le classi dirigenti, occorreva fondare e creare, senza indugio, una serie di istituti, capaci di accogliere i più umili.

Nella vita di Giulia Colbert Faletti di Barolo, l’agosto del 1830 coincise con una nuova stagione, sia dal punto di vista più intimo sia da quello progettuale-lavorativo.

Questa data infatti coincise con la decisione inaspettata dell’impero austriaco di liberare dalla sua lunga ed estenuante prigionia lo scrittore-ribelle Silvio Pellico, l’autore del celeberrimo e assai apprezzato Le mie prigioni. Va da sé che per l’argomento trattato in questo testo autobiografico Giulia e Silvio erano destinati a incontrarsi e a fondersi in una propizia collaborazione che andava sotto certi aspetti ben oltre una semplice armonia tra fini intellettuali e sognatori di un mondo nuovo.

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Tanto è vero che la Colbert Falletti, pur provando un affettuoso e sincero attaccamento a quel nobile marito che le aveva ridato l’opportunità concreta di un’esistenza serena, ben lontana dal martirio psicologico vissuto in tenera età nella sua madrepatria, non disdegnò quel trasporto galeotto che la fece imbattere in una sorta di relazione appassionata, che all’occhio di un’opinione pubblica alquanto maliziosa appariva sempre più ambigua e poco consona ai costumi del tempo.

Insieme i due avevano dato vita al “Refugium Peccatorum”, una specie di villino modello che sorgeva in aperta campagna sulle alture di Torino. Questa realtà rappresentava la più matura e logica evoluzione delle medesime idee riformatrici della marchesa Giulia, divenendo appunto una casa di correzione all’avanguardia in Europa. Il Refugium non aveva sbarre alle finestre, né cancelli alle porte. Non aveva strumenti di tortura e neppure secondini. Disponeva invece di un’ottima cucina e perfino di una biblioteca cui lo stesso Silvio inviava buoni e attuali libri.

L’autore de Le mie prigioni era divenuto dunque assiduo e indefesso accompagnatore della marchesa nelle sue idee e nelle sue opere di ammodernamento del sistema carcerario italiano.

Mano nella mano crearono anche una nuova istituzione caritatevole che battezzarono col nome di “Famiglie di Maria e di San Giuseppe”. Ciascuna di queste famiglie aveva una specie di madre alla quale era affidata la cura e la tutela di un drappello di giovani ragazze desiderose di apprendere un mestiere. Appartenevano a questi drappelli: sartine, crestaie, guantaie ed anche cuoche che poi avrebbero in un secondo momento prestato la loro opera in varie case della nobiltà e della borghesia più abbiente. Alla sera sarebbero ritornate in queste case per la cena e il pernottamento. Alle più piccole tra queste apprendiste venivano impartiti corsi elementari di educazione, che comprendevano anche la lettura e il far di conto.

 

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A un certo punto della sua vita, Giulia, emblema silenzioso del nostro Risorgimento, accentuò ulteriormente quella religiosità di cui era già abbastanza impregnato il suo animo.

Seguiva sempre più le molteplici iniziative della Compagnia di Gesù. Ogni anno difatti si recava due o tre volte nella Città Eterna per partecipare alle riunioni delle Adoratrici del Sangue di Gesù. Quindi cominciò a frequentare il lato oscuro del mondo cattolico, incontrando eremiti, alti prelati e monsignori.

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Si recò più volte a Caldaro, nel Trentino, per incontrare una donna misteriosa, Maria Moorl, che era solita cadere in estasi. L’aveva già visitata una volta con il marito, ma in quel frangente non era riuscita a coglierne l’essenza.

Più volte aveva confessato all’inseparabile Silvio che avrebbe voluto essere come la Moorl e lui, diventato cattolico fervente, cominciava piano piano ad allontanarsi da quella amica tanto speciale.

Giulia Colbert Falletti di Barolo si spense all’età di settantanove anni, il 20 gennaio del 1864, con la gioia nel cuore di aver potuto finalmente vedere l’Italia Unita. Pellico era scomparso dieci anni prima, lasciandola completamente sola.

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