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Carlo Emilio Gadda
Trascrivo qualche verso di Carlo Emilio Gadda...
Molte poesie sono senza titolo...
Penso che sia un Poeta con una forte inclinazione nel descrivere paesaggi montani e boscosi, al limite del fantasy, con alcuni rimandi ai "Canti di Ossian" per il paesaggio spesso selvaggio e incontaminato, quasi primordiale.
E vi sono profondi misteriosi
giardini, e lame di profumi,
come nebbie diffusi nella
cadente sera
e nei gaudiosi mattini.
***
No, nel viso non è segno
di pianto,
il viso è immobile e muto
("Viaggiatori meravigliosi")
***
Poi che corso buon tratto ebbimo il monte
a mezza costa per castani e forre
un ermo bianco vidimi di fronte
che per ispide rupi alza la torre
e battendolo il sol morendo arrossa
la roccia e il muro che sovr'essa corre,
sotto la valle, d'alto suon commossa
del suo torrente, ombrandosi per sera
chiama al riposo in sua silvestre fossa.
Ma le pinete nella notte nera
crosciano lungi per forre e per gole
ululando si addentra la bufera.
***
"Sul San Michele" (qualche verso)
Acqua nascosta
tra i folti della menta
sotto la luce stellare
il tuo filo cerca
nel piano una via
verso le lontananze
del mare.
Il tuo filo cerca le speranze
della sua vita
sotto la luce
della notte deserta.
Lo conduce
il declinare
del piano,
non furore, non esperta
virtù, né il dolce
silenzio della vendetta.
E nel viso aveva una luce
un sorriso.
Una vana angoscia mi riconduce
per vani sentieri
ma i pensieri del passato già sono persi
ed altri mondi mi vogliono
deserti, neri.
Intanto è venuta la notte
antro dei mondi.
Immobile notte:
i tuoi punti di zaffiro e d'oro
sono, forse, lontani dolori.
So che vi è un lago senza confine
e senza fondo
d'acque tersissime e fredde:
ignoro che luce le avvolga
o che mondo
inesplorato, nelle divine
rive lo accolga.
So che immensi e cupi
e rotti e invalicabili
monti lo serrano di ghiacci
di foreste ignorate
di rupi.
Oltre l'opaco
terrore della notte
palesa
i suoi mille mondi
ma tu non scendi ai confini
dell'anima, ormai,
aride fai
le tue vene
per sabbie remote disvai.
Quando le voci
discordi, si spegneranno
le vene
ignorate e profonde
all'anima nuove
il lor bene
ricondurranno.
***
"Gli amici taciturni"(ovvero "Ritorno")
Quanto sonno è passato
sulle anime
nostre? Eccoci ancora:
si sente
nel vano desolato
l'andare del mondo.
Quanto tempo ci ha separati?
Io non so dire.
La lampada è la stessa
con eguale silenzio sull'imbrunire.
Non sono mutati
questi quadri senza senso
né i rintocchi lontani.
Né l'oscuro di fuori, denso
di nebbie.
Il sonno ci condusse
per eremi strani.
E cupi boati
hanno corso
le foreste e i monti.
E folgori pazze
volevano la terra
nei tramonti rossi.
E gli alti castelli
delle rupi furono percossi
e rotti
i silenzi cuoi
dalle folgori nelle immobili notti.
Dev'essere il mondo
che incontra la notte
e vuole la strada
del profondo.
***
"La Sala di basalte" (qualche verso)
Per valli lontane
la luna indugia nel settembre
e nelle vette lontane
gemmano i ghiacci sopra le valli,
alte luci sopra le ombre.
Allora i baci che non han fine
ardono alle fanciulle
e dissanguano la pallida bocca.
Quando indugia la luna
per altre valli ed il popolo nero
dei faggi mormora nella notte
un'ombra cammina tra i giganti
e l'ignoto sentiero
si smarrisce sopra una duna.
E corrono sibili strani
ed il vento li sperde
per le foreste.
Allora tra i radi alberi s'alzano
immobili torri.
E le stelle s'oscurano e balzano
perdute nelle tempeste.
Un'ombra passa sul ponte:
si cela nel buio nella porta.
E l'angoscia ci riconduce
sui vani sentieri delle memorie,
ma tutto tace
intorno e tutto si oscura;
come chi non torna, passava
così dentro le torri un'ombra.
E un'angoscia pregava e pregava
cercando le immobili mura:
l'angoscia di una fanciulla che preme
con esile piede
il buio cammino delle selve
e nella notte non vede.
I giganti vivono di vento e di tenebra:
nessuno soccorre, nessuno crede.
Ed ella stringe il suo manto,
ed il pianto trabocca e gocciola appena.
Corre col sangue il dolore
a battere per ogni vena.
Le antiche voci.
Lontano, quanto la notte, è il confine
del paese.
Le strade si sono protese
verso deserte rovine
e poi le ha prese la notte.
Forse le terre regine
dei silenzi ti videro
tornare, nel tramonto,
ed una forse chiamò.
Come tacquero tutte le voci?
Ed una forse ti allaccia
fra cupi veleni
in una strana terribile danza.
Come serpi si snodano le braccia,
(e il gelo ti sale dalle reni,)
entro la livida luce della stanza
perduta, spegnendoti
la dolce pallida faccia.
Ma saranno le cagne della notte
che ridono d'un atroce pensiero.
La porta è come il passo
delle buie caverne gola del profondo;
Un alito viene dalla gola di sasso
e l'erba dondola sulla porta:
l'alito dei viscidi mostri della terra
che bevono alle vene d'una morta.
Quanta pena si serra
nel manto ricamato d'una fanciulla!
Sulla brughiera il vento s'attarda,
poi si smarrisce sufolando nella foresta:
è stanco e non s'ode più nulla.
Pubblicato da Lunaria
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