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Un personaggio femminile di grande vigore e creatività. “A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” di Hanne Ørstavik

Un personaggio femminile di grande vigore e creatività. “A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” di Hanne ØrstavikLa vicenda narrata in questo romanzo dal titolo A Bordeaux c’è una grande piazza aperta (edito da Ponte alle Grazie, nella traduzione di S. Culeddu), scritto da Hanne Ørstavik, una tra le voci più interessanti della letteratura nordica dei nostri giorni, prende il via con la frase: mi vuoi incontrare…

Una frase semplice, tre parole all’apparenza banali che all’interno di questo romanzo, così avvincente e a tratti anche provocatorio, nel senso più positivo del termine, suona come una sorta di grido primordiale, che si sviluppa con prepotenza nell’anima di una donna innamorata che, logorata da questa fiamma tutta interiore, desidera con tutte le sue forze incontrare il suo uomo per vivere momenti di reciprocità e di sublime appartenenza, dopo che il lavoro in luoghi geografici differenti li aveva separati fisicamente e psicologicamente, trasformandoli lentamente in due estranei, lontani anni luce. Come se tutto quello che era accaduto loro in precedenza non fosse stato altro che frutto di una meravigliosa utopia.

 

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È perciò desiderio tantrico questo volersi vedere, che porta l’uomo e la donna a quella voglia irrefrenabile di possedere e di essere posseduti in un meraviglioso gioco a due, seducente e avvolgente allo stesso modo, che si concretizza nel sesso, inteso, non semplicemente, come un atto formale e meccanico fine a se stesso; bensì come l’apoteosi totale di una poesia celestiale, che piano piano conduce l’individuo a percepire quel non so che di eternità a cui ogni essere senziente aspira.

La storia viene concepita con grazia ed eleganza, una melodia travolgente, carica di emozioni indubbiamente forti, ma anche vere e genuine, che si traducono con estremo garbo in un’opera ben confezionata e strutturata che si legge con grande piacevolezza e dedizione d’intelletto, un delicato, ma costante flusso, mai interrotto, di pensieri tanto leggeri quanto profondi che accompagna con pacata dolcezza il lettore in un accattivante e prolifico viaggio interiore, da compiersinelle tormentate vicissitudini sentimentali della protagonista, Ruth.

Ruth è una donna forte, ostinata, figlia del terzo millennio. Si potrebbe definire un’eroina consapevole e tutta d’un pezzo. È sicuramente completa dal punto di vista professionale, un’artista affermata e apprezzata anche da quel mondo maschile che il più delle volte vede la donna con sospetto, come un corpo estraneo da estirpare. Ma lei ha tirato fuori gli attributi e ha guardato il maschio dall’alto al basso, senza mai abbassare il suo sguardo e non avvalendosi della pregiudiziale della debolezza attribuita al mondo delle donne. E oggi sta progettando, buttandosi con anima e corpo, una grandiosa e originale installazione, pronta ad arricchire una galleria d’arte, sita nella città francese di Bordeaux. La sua faraonica creazione dovrebbe occupare un grande spazio vuoto e dovrebbe apparire all’occhio umano come una sorta di ipotetica chiesa. Insomma con la realizzazione di questo imponente manufatto artistico Ruth si completa ancor di più sia come donna che come lavoratrice e quindi può urlare al mondo la sua naturale voglia di essere protagonista, il suo più ardimentoso desiderio di mettersi in gioco a ogni costo per dimostrare ai miscredenti le sue autentiche potenzialità.

Un personaggio femminile di grande vigore e creatività. “A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” di Hanne Ørstavik

La donna, compiaciuta di se stessa per quanto è stata in grado di creare, avrebbe immenso piacere che l’uomo di cui si è innamorata, Johannes, critico e storico dell’arte, la potesse raggiungere al più presto per condividere le emozioni e soddisfazioni che le pervadono quell’animo in fermento, sempre pronto a farsi sedurre dalla congenita bulimia d’amore. E lui, bastardo dentro e vigliacco fino al midollo, finge, con deplorevole astuzia tipicamente maschile, di assecondarla. Ma in realtà non è altro che un bluff studiato a tavolino: lui la lascerà sola, completamente vulnerabile, in balia delle sue più atroci frustrazioni e ossessioni. La farà dunque crollare, senza pietà, in una profonda agonia, fatta di tristezza cronica, dove quella immancabile malinconia, sintomo di un abbandono congenito, striscerà subdola nelle piaghe più segrete dell’insicurezza femminile. Piano piano la Ruth forte e determinata, come noi lettori l’abbiamo conosciuta fino a questo punto della narrazione, andrà scemando in un pallido ricordo e lascerà purtroppo spazio a un fantoccio, smunto e sconfitto, accasciato nel buio e nella solitudine di un cuore in subbuglio, che non comprende fino in fondo la motivazione di cotanta cattiveria gratuita.

Ruth, infatti, si accorgerà a sue spese che il cosiddetto “suo uomo” in realtà non sarà mai veramente suo e, cosa più drammatica, lo stesso non si concederà, non avrà mai quel sano e naturale desiderio di fare l’amore con lei, non la sfiorerà neppure per sbaglio, perché mai avrà intenzione di raggiungerla nella città di Bordeaux. Lei è stata solo una parentesi ormai esaurita, quel gioco che stuzzica il bimbo curioso, ma che alla fine –  per noia o per sdegno – viene gettato in un cantone e dimenticato, come se tutto si dovesse risolvere in uno squallido giro sulla giostra della vita!

Anzi, per umiliarla ancora di più, Johannes, uomo di grande tempra morale e spessore intellettuale, avrà pure la sfacciataggine di inviarle, in modo gratuito e senza un vero perché, una vergognosa sequela di immagini inequivocabili, in cui si mostra borioso e soprattutto voglioso in quegli atteggiamenti spinti con altre ragazze, perfide quanto lui.

In questo romanzo che rappresenta la primissima opera dell’autrice Hanne Ørstavik tradotta nella nostra lingua, vi è dunque una grandissima potenza di narrazione che catapulta il lettore in un mondo parallelo tutto da scoprire. Una sorta di dimensione di non senso, dove menzogna e verità si rincorrono senza mai però toccarsi realmente. Un luogo, quasi mitico e inespugnabile, in cui la bontà e la cattiveria umana si “accarezzano” in una specie di guerra psicologica, dove il savoir faire è soltanto una prassi su cui soprassedere. Insomma una battaglia feroce, uno scontro tra Titani, da viversi fino all’ultimo sangue. L’uomo e la donna si spoglieranno delle loro maschere e delle loro difese per affrontarsi in un duello epico, che decreterà – senza se e senza ma – vincitori e vinti. E proprio partendo da questo presupposto, un lettore attento e saggio avrà dunque l’opportunità più concreta di compiere una specie di rilettura del proprio animo, per comprenderne finalmente l’essenza più profonda. Compirà quindi un vero e proprio percorso, nel quale il proprio io e il proprio inconscio scandaglieranno, una volta per tutte, il loro grado di maturità individuale, per rapportarli dunque –avvalendosi di una metodologia d’azione quasi balistica – alla psicologia dell’altro, per scoprirne connessioni, divergenze e analogie. Si assisterà in questo modo ad una inaspettata e silenziosa riconciliazione filosofica, dove il non-io si metterà in viaggio per raggiungere l’io; come se il finito, in preda a una profonda voglia di ASSOLUTO, deciderà, all’improvviso, di gettarsi nell’infinito.

Il lettore viene così stregato e ipnotizzato, spedito, quindi, senza alcun preavviso, in una sensuale dimensione erotica, mai volgare: dimensione erotica che indaga, in modo spietato, sulle molte sfaccettature e contraddizioni del desiderio umano. Desiderio umano che si concretizza dunque in una costante ricerca del piacere a due, misteriosi giochi di sguardi sensuali che si cercano e si trovano, fluttuanti movimenti di mani di velluto che si toccano in quell’improbabile gioco di “ombre cinesi”.

Ogni personaggio di questa sciarada narrativa si alterna dunque nell’economia del medesimo racconto e si trova, nolente o volente, a dover fare i conti con il vuoto inesorabile delle loro esistenze, dove la fragilità e la precarietà ne rappresentano i pilastri dominanti.

Un personaggio femminile di grande vigore e creatività. “A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” di Hanne Ørstavik

Il sesso per Ruth e compagni diventa perciò quel fattore scatenante che racchiude in sé l’innata capacità di rompere ogni schema prestabilito, in quanto lo stesso desiderio fisico nella sua brutalità più affascinante scaturisce da ragioni o regole sconcertanti che ci portano senza perché in un terreno davvero impervio.

Hanne Ørstavik presenta all’interno di questo suo romanzo una prosa lirica appassionante e appassionata, che piace e seduce per quel prezioso binomio durezza-dolcezza, ma allo stesso tempo per la sua spiazzante essenzialità, capace di dipingere in modo quasi idilliaco e profetico una sorta di quadro virtuale, che si presenta ai nostri occhi, a tratti luminoso e a tratti inquietante per quelle innumerevoli e complicate alchimie di rapporti umani.

Rapporti umani così logori e inesistenti, che il più delle volte è perfino impossibile connetterci l’uno con l’altro, unirci con il corpo e con la mente, vincolarci a un legame unico e definitivo. Si ha dunque la sensazione di essere prigionieri dell’individualità ad ogni costo, di indossare una sorta di armatura così pesante e ingombrante da impedirci ogni sorta di incontro con l’altro, che diventa quasi una chimera da seguire e conquistare.

Ruth è un’eroina moderna, nel bene e nel male, nei momenti di forza e in quelli di inevitabile debolezza, una figura femminile indubbiamente ben studiata e rappresentata con grande vigore e grande creatività; ma soprattutto realizzata con una comprovata sensibilità e precisione scientifica, senza però dimenticare allo stesso tempo l’estrema empatia, data al personaggio dall’autrice norvegese, che ci regala – a sorpresa –il ritratto di una femminilità paralizzata e frustrata dai medesimi sommovimenti dell’inconscio.

 

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Hanne Ørstavik in questo suo capolavoro ci ricorderà anche che l’incontro non è altro che un bellissimo dono, lo possiamo volere e sognare, ma mai lo possiamo forzare. L’essere umano, infatti, utilizzerà la sua esistenza come una specie di pellegrinaggio metaforico e metafisico, che lo condurrà inaspettatamente ad una piena presa di coscienza di sé e lo accompagnerà in una costante e proficua ricerca dell’altro, inteso come “Dono supremo” e vero e proprio completamento della propria indole più autentica. E solamente quando dentro l’individuo scatterà, improvvisa, quell’alchimia inspiegabile di “affinità elettiva” si potrà dirsi compiuto parte del senso della vita.

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